A
PAGNOLLE (PONTASSIEVE) SBOCCIA L’AMORE DI DANTE E BEATRICE?
La “Divina Commedia” è
opera “laica”?
RICERCA DI PAOLO CAMPIDORI
A Benigni va dato il merito di aver
“riscoperto” (come appassionato)
Dante, oltre a questo suo pregio personale,
fu anche, come affermò Francesco De Sanctis, amante tenero, combattente per i
propri ideali e per la propria Città, ed infine, fu credente (“a modo suo”,
questo lo aggiungo io).
Io mi domando, se risponde a realtà il
ritratto che l’iconografia e l’iconologia fanno di lui e cioè: espressione
arcigna, naso aquilino, bocca a
“mezzaluna” rovesciata, l’occhio sgranato con la pupilla “feroce”, la fronte
corrugata, e, poi (mi sembra un controsenso) cinto da una corona d’alloro,
sopra un copricapo, quasi sempre, un “mazzocchio” fiorentino.
Forse, bisogna inquadrare Dante sotto la
scorza dell’esteriorità e vedere più il personaggio, come un uomo, come uno dei
tanti che nel sec. XIII-XIV esistevano a Firenze, con i propri pregi e propri
difetti, passionale, come lo era la gente di allora, tenero e amante del bel
vivere in una città che cresceva a vista d’occhio, non solo per dimensione ma
anche per importanza. In quella società, che “sgomitava” per affrancarsi dal
“giogo” medievale, Dante aveva ricevuto l’imprinting dalla sua fanciullezza, e
ne era diventato un “figlio del suo tempo”., come si usa dire oggi.
Però, credo, che la figura di Dante, vada
ridimensionata, non certo per importanza, ma per quanto riguarda certi luoghi
comuni, che, sinceramente, oggi ci fanno un po’ sorridere.
Io credo che la personalità di Dante si sia
formata non solo nella città medievale di Firenze, ma anche, e soprattutto,
nella campagna dei dintorni di Firenze, in particolare alla Radola dove il
padre aveva un ‘resede’ con dei terreni e dove, da notare bene questo
particolare, a Montecchi, a neppure un chilometro in linea d’aria, c’era la
villa di campagna dei Portinari, vale a dire “la maison des plaisirs” del padre
dell’amata Beatrice. Sia
Io conosco molto bene questi luoghi,
conosco bene la chiesa di San Miniato a Pagnolle, mi sono recato alla Villa di
Montecchi dei Portinari, ho visto la casa di campagna del “divino” (espressione
che a me non garba) poeta Dante. Queste tre unità (casa degli Alighieri, villa
dei Portinari e chiesa di Pagnolle) formano quasi un triangolo, e sono vicine
l’una all’altra. Ora bisogna dire che i Portinari erano molto più ricchi degli
Alighieri, il loro nome è legato indissolubilmente nella storia di Firenze come
magnati e mecenati (fondatori, tra l’altro dell’ospedale di santa Maria Nuova) della
città del Fiore; e la tomba di Folco, padre di Beatrice, di trova all’interno della
chiesa dell’Ospedale da lui fondato. Forse è più giusto dire che i Portinari,
più che dei nobili, erano degli arricchiti, come lo erano tanta parte della
nuova nobiltà fiorentina, i “neo-capitalisti”, come si definirebbero oggi. Gli
Alighieri che ereditarono il nome della loro casata, da un avo Alighiero, forse
longobardo, facevano parte di un altro tipo di nobiltà, più antica, forse, ma
meno danarosa. Sappiamo che i longobardi, seguivano la legge Longobarda detta
anche “Ripuaria” e, per quanto riguarda le eredità, il patrimonio veniva diviso
in parti uguali fra tutti i figli. Quindi i patrimoni dei nobili longobardi con
il tempo, sono andati via via frazionandosi, diventanto così inconsistenti.
Ora bisogna fare un altro punto: la chiesa
di San Miniato a Pagnolle è ubicata a circa trecento metri dalla Villa dei
Portinari e a circa cinquecento metri (circa) dal “resede” degli Alighieri.
Siccome è probabile, è ipotizzabile, è
verosimile che la campana del campanile della chiesina di Pagnolle suonasse
sia per i Portinari che per gli Alighieri, mi sembra altrettanto realistico
pensare che le famiglie Alighieri, le famiglie Portinari e tutte le altre
famiglie della zona si ritrovassero per
Poi bisogna aggiungere che le famiglie
benestanti fiorentine, durante l’estate, andavano a villeggiare nelle campagne,
nei dintorni di Firenze, anche perché l’aria delle città, a causa della
sporcizia, era irrespirabile. I Portinari si recavano nella loro villa di Pagnolle,
gli Alighieri nel loro resede della Radola. E’ ancora ippotizzabile che Dante e
Beatrice, si siano visti più volte, abbiano corso insieme nelle stradine
polerose di quelle campagne, abbiano giocato sui prati in fiore, ed è probabile che proprio qui a Pagnolle
sia sbocciato il loro amore.
Ma allora, la tradizione storica che ha
ipotizzato fino ad oggi il loro primo incontro presso il Ponte a Santa Trinita
a Firenze, oppure nella famosa chiesa del centro fiorentino detta appunto “di
Dante e Beatrice”, deve considerarsi falsa? No, assulutamente no, i due,
secondo me possono essersi incontrati sia in città che in campagna a Pagnolle, però penso che il loro amore sia
“sbocciato” e maturato lontano da occhi indiscreti, come era d’uso nelle
famiglie nobili, appunto a Pagnolle.
Tornando alla figura di Dante, voglio
riaffermare, che Dante era assolutamente un poeta;
La “Commedia” poi chiamata da altri
“divina” è opera “LAICA”. Dante non sceglie per “vate” un santo del suo tempo
come San Francesco, oppure altri Santi famosi vissuti prima di lui, come
Sant’Agostino o Benedetto, il Santo di Montecassino, ecc. Egli sceglie per suo
“vate”, per suo “accompagnatore”, un
poeta come lui e neanche uno “stinco di santo”: Virgilio, si ipotizza, tra
l’altro, che fosse di origine Etrusca ed avesse anche certi gusti sessuali non
troppo consoni per la mentalità della maggioranza delle persone dei tempi di
Dante. Marone che è il gentilizio di Virgilio, corrispondebbe ai “maroni”
etruschi che erano i primi magistrati delle città etrusche.
Quindi mi sembra del tutto opinabile
pensare che Dante, abbia “mosso” i personaggi della sua “Commedia” con lo scopo
di farne un’opera religiosa. Non credo questo fosse l’obbiettivo
dell’Alighieri, Dante voleva invece fare il “cronista” del suo tempo e come lo popteva fare se non facendolo
nella maniera che gli era più consona, e cioè, in versi, come poeta?
Quindi la “Commedia” di Dante, nonostante le
“estasi”, le “trasposizioni pseudo- spirituali”, gli “scioglimenti mistici” di
Benigni, resta un’opera POETICA E STORICA CHE, PER TALE MOTIVO ANDREBBE
STUDIATA MAGGIORMENTE NELLE SCUOLE, E NON LASCIATA ALLE INTERPRETAZIONI E ALLE
“ELUCUBRAZIONI” TROPPO PERSONALI DEL
SIMPATICO COMICO BENIGNI.
Ritengo, e non sono l’unico a pensarlo, che
il ruolo GIUSTO di questo ormai “mitico” personaggio, sia quello di fare
l’attore, sia ANCHE quello anche di declamare i versi di Dante, ma non sia
quello di “interpretare” le opere dantesche.
CON TUTTO IL RISPETTO E TUTTA
Paolo Campidori
© Copyright Paolo Campidori
Fiesole, 1 ottobre 09