GOSTO E I’
CISTRONCA
I’
Cistronca lo conosceano tutti in Mugello. Gl’era un omo grande e grosso e’
gl’avea du’ bicipiti che pareano du’ colonne di’ tempio di Fiesole, gli garbaa
un po’ i’ vino ma unn’era violento come ingiustamente diceano certe persone. Quando
gl’avea beuto due o tre calici di vino, un li reggeva e’ dientaa la burletta di
tutti. Ni’ barre si riuniano un po’ tutti la sera Gosto, Foresto, i’Triga,
Guliermo, Pazzino e tutti ‘un vedeano l’ora di pagagli qualche calice di vino
per divertirsi un po alle su’ spalle. I’ Cistronca unn’era un omo come tutti,
gl’era un po’ buffo. Quando uscìa fora si porta’a dreco sempre la su’ cagnolina
che ellera uno spasso a vedella. Una barboncina tutto ripicchiettata, con un
pelo lungo lungo su i’ muso e tutta rileccata a i’ beaty salon e’ gl’aveano
messo persino i’ rossetto come alle donne. Quasi sempre i’ Cistronca si portaa
dreco anche la su’ moglie, che ‘la sembraa più una barboncina lei che la
cagnolina. La chiamano la
Cistronca. L’avea du’ occhi dipinti con de’ ciglioni lunghi e
poi l’avea i’ rossetto che gli straborda’a dalla bocca, ‘la parea che la fusse
passata prima dall’imbianchino. La gente ‘la si sbellica’a dalle risate, perché
la parea una rificolana. Eppoi ‘la volea parlar fino, ma siccome l’era una
contadina smessa, ‘la facea ridere tutti a crepapelle. Da un po’ di tempo ‘la
s’era messa in testa di far parte di una setta e per questa ragione, la si
chiudea in casa a fare le meditazioni. Urtimamente la medita’a la realizzazione
di’ federalismo di coppia, icché volesse dire poi unno sa nessuno. I’
Cistronca, issù marito, anche lui voleva fare la persona fine, ma puzza’a di
lezzo e di vino a mezzo chilometro di distanza. Qualche vorta i’ Cistronca
l’era un po’ disorientato, specialmente quando s’avvicinaano le elezioni.
Ell’era sempre a dire: “sono contro la violenza, ma se la ci ‘ole la ci ‘ole”.
Ma l’era tutta una farsa perché un’arebbe ammazzato una formicola. Però
l’era un gran mangiatore. Gli garbaa’ano i conigloli, i’ cignale, le pappardelle
sulla lepre, i biscottini uso Prato, e alla fine di’ pasto, quando gl’avea
tirato giù un fiaschetto di chello bono, si facea portare un bei calice di
Sgancia e un bicchierino di Archemusse. Il caffè ‘un gli garbaa, e’ si sentia a
disagio con la chicchera, perchene gli trena’ano le mani e l’avea paura di
buttare la chicchera in tera. A i’ Cistronca gli garba’a la musica e i’
treatro. Gli garba’a parecchio la musica crassica come i’ “Funerale in Re
maggiore” di Betovenne o i’ “Sogno d’una notte di mezza estate” di
Sciacchespeare, che facevano tutti gli anni a Fiesole ni’ treatro romano.
Nonostante che predicasse bene e’ razzola’a male. Dinanzi a casa sua v’erano i
cassonetti della nettezza, ma i’ Cistronca ‘un butta’a mai i sacchi di’ sudicio
drentro, gli facea fatica arzare i’ coperchio e allora li buttava fora. Attro
che “raccolta differenziata” dinanzi alla casa di’ Cistronca la spazzatura la
sarà stata differenziata, ma l’era tanto puzzolente. I’ Cistronca dicea a
tutti che quello unn’era casino, ma gl’era semmai come dicea lui, un casino
organizzato. Che a i’ Cistronca ‘un gli parlassero di carcio. Tutti gli
diceano: “Cistronca ‘un ti garba i’ carcio?” Pe’ tutti e’ parea che i’
Cistronca fusse una mosca bianca. D’estate si mettea un paio di carzoni di lino
bianco, pieni di frittelle, e un cappello di Panama, tutto sbrindellato.
Quando passa’a dinanzi alla maestra, si gongolava tutto e leandosi i’ cappello,
gli dicea, Buongiorno Mademosielle, ma la maestrina e’ lo scansa’a perché
puzzaa di piscio e di borotalco. La moglie di’ Cistronca l’era un po’ gelosa,
anche se più geloso dovea essere prioprio i’ Cistronca. E n’avea ripassati più
lei che le porte di Domo di Firenze. Ora però ‘la facea la santarellina e
quando gli diceano quarcosa sulla su’ gioventù ‘la doventa’a rossa come un
peperone. Questo l’era i’ Cistronca uno de’ tanti personaggi mugellani.
Paolo
Campidori