IL “MISTERO” DELLA LINGUA ETRUSCA E’ STATO SVELATO?

 

Il problema investe anche le origini degli Etruschi

 

 

E’ in corso una diatriba fra linguisti e archeologi italiani e internazionali che dura da più di cinquant’anni e che riguarda l’origine della lingua etrusca e di conseguenza l’origine stessa di questo popolo. L’archeologia moderna italiana (che segue la scuola di uno dei massimi etruscologi, Massimo Pallottino) sostiene la “autoctonia” del popolo etrusco, vale a dire la “formazione in loco” (suolo italico), ipotesi dalla quale deriverebbe, come ovvia conseguenza, che la lingua etrusca “non sarebbe accostabile o comparabile con nessun altra lingua dell’area del Mediterraneo”.

Tale posizione sostenuta, già dal 1947, dal grande etruscologo Massimo Pallottino (e dalle relative scuole che egli ha creato a Roma e a Firenze), deriverebbe dall’avere fatto propria la tesi dello storiografo greco, vissuto in Italia, Dionisio di Alicarnasso (I 30,2) il quale sostenne, per primo, che il popolo etrusco, che si definiva “rasenna”, fosse un antichissimo popolo formatosi in Italia. Questa tesi è stata sempre controbattuta dalla maggior parte dei linguisti (in modo particolare da Massimo Pittau), che sostengono, senza mezzi termini, che “Pallottino e i suoi allievi siano fondamentalmente archeologi e che nessuno di loro avrebbe acquisito una analoga ed almeno sufficiente preparazione linguistica”.  In effetti la preparazione scientifica di un archeologo è molto distante e differente da quella linguistica, per cui un archeologo sicuramente può essere anche un grande studioso nella sua disciplina, tuttavia “se non si è fatta anche un’adeguata preparazione linguistica, in quest’ultimo settore, sarà niente più che un orecchiante” (Pittau). Inoltre la tesi “autoctonista” del Pallottino (e dei suoi allievi), molto affascinante sotto il profilo della formazione etnica e storica dell’Italia, sarebbe fondata (sempre secondo il Pittau) se gli archeologi italiani avessero dimostrato di conoscere tutte le lingue di tutti i popoli che sono vissuti nel passato nelle terre che gravitano intorno al Mediterraneo. I linguisti inoltre affermano che la tesi “autoctonista” di Dionisio di Alicarnasso non sia stata sostenuta da nessun altro autore antico, mentre quella “migrazionista” di Erodoto, che affermava che gli Etruschi fossero migrati dalla Lidia (Anatolia), fu sostenuta da almeno trenta autori dell’antichità. Oltre a Erodoto essi sono: Ellenico, Timeo di Taormina, Anticle di Atene, Scimmo di Chio, Scoliaste di Platone, Diodoro Siculo, Licofrone, Strabone, Plutarco, Appiano, Catullo, Virgilio, Orazio, Ovidio, Silio Italico, Stazio, Cicerone, ecc.

 Albert Einstein affermava che i preconcetti, proprio perché tali, siano più duri a disintegrarsi degli atomi, ed aveva ragione. Per i linguisti, questo preconcetto o “peccato originale”, secondo il quale “LA LINGUA ETRUSCA NON SIA ACCOSTABILE A NESSUN’ALTRA LINGUA DEL MEDITERRANEO” (Pallottino), ha nociuto non poco alla ermeneutica, cioè all’arte (o alla scienza) di decifrare antichi testi e documenti. E’ cosa risaputa che per i linguisti il primo e fondamentale strumento della linguistica storica e glottologica stia proprio nella comparazione e che “togliendo questa possibilità al linguista gli si toglie ogni possibilità di lavoro scientifico” (Pittau).

Con il metodo comparativo sono state classificate lingue come il sumerico, l’hittito, il licio, ecc.  Purtroppo per l’etrusco si sono avuti risultati appena percettibili, nonostante il ricco materiale a disposizione degli archeologi.

Ma questa affermazione dei linguisti è del tutto veritiera?

In massima parte lo è. La lingua etrusca, avendo “mutuato” l’alfabeto greco dalla Grecia è perfettamente leggibile e pronunciabile, ma solo in piccolissima parte è comprensibile. Faccio un piccolo esempio. Se io decidessi di studiare la lingua tedesca acquisirei delle conoscenze per leggere e pronunciare bene questa lingua, ma se per ipotesi io non avessi a disposizione come “bagaglio” un adeguato vocabolario sarei in grado solo di leggere e pronunciare bene la lingua tedesca, ma non a decifrare il significato delle parole. E’ quanto avviene con l’etrusco. Di questa lingua adesso si conoscono alcune migliaia di parole (per la maggior parte nomi di persone), ma siamo capaci di decifrarne solo alcune centinaia di esse e molte di queste ultime hanno inoltre una traduzione incerta. Veramente poco per poter affermare di aver svelato il  “mistero” della lingua etrusca. Questo perché noi conosciamo un vocabolario limitato all’ambito religioso, rituale, funerario, e, in pochi casi, relativo alle ripartizioni e ai confini delle proprietà terriere, come ad esempio la Tavola di Cortona. Il testo più lungo che conosciamo, il Liber Linteus della mummia di Zagrabria, è composto da circa 500 vocaboli, diversi tra di loro e quelli tradotti in modo assolutamente certo sono solo una ventina. Questo per dire che il problema della comprensione della lingua etrusca esiste tuttora e in larghissima misura.

Per quanto riguarda l’origine della lingua etrusca la maggior parte dei linguisti è orientata decisamente, per la tesi “migrazionista” a causa delle strettissime somiglianze dell’etrusco al lidio. Essi ritengono, avallando quindi la tesi di Edodoto e altri, che tale popolo sia migrato, proprio da questi territori, verso il sec. VII, in Italia, nelle coste tirreniche del Lazio e della Toscana, per poi espandersi al nord, al sud e sulle coste dell’Adriatico. Anche l’etruscologo Pallottino, in “Etruscologia” (Hoepli, 1° Ediz. 1942) scriveva a tal proposito: “in verità i rapporti fra la lingua etrusca e il dialetto pre-ellenico parlato nell’isola di Lemno, anteriormente alla conquista ateniese avvenuta per opera di Milziade, nella seconda metà del sec. VI a.C., sono, nonostante le contrarie obiezioni del Lattes, del Paretti e di altri STRETTISSIME”.

Detto ciò, mi sembra superfluo sostenere che niente vieti ad uno studioso di porsi il problema della “ORIGINE DELL’ELEMENTO ORIENTALE” che è così presente in ogni forma di vita del popolo etrusco. Mi sembra doveroso accennare che anche nel caso in cui un popolo antico abbia voluto “mutuare” da altri popoli più evoluti lo strumento base della scrittura che è l’alfabeto, sia del tutto improbabile che lo stesso popolo abbia fatto propria la lingua dello medesimo popolo, diversa dalla propria. Ciò, sinceramente, mi sembra un po’ esagerato.

 Concludo  dicendo che in etruscologia (ma penso valga come regola generale in  ogni branca dell’archeologia) sia molto saggio usare la prudenza, poiché ciò che oggi può sembrarci sicuro, domani, grazie a nuove scoperte archeologiche, linguistiche e a nuove tecnologie di ricerca, potrebbe non esserlo più. Quindi che dire?...

Ma la diatriba continua….

 

Paolo Campidori

© Paolo Campidori

 

Bibliografia:

Paolo Campidori – Mugello, Romagna Toscana, Valdisieve. Borgo S. Lorenzo (Fi), 2005

Massimo Pallottino – Etruscologia – Edizioni Hoepli

Massimo Pittau – Vocabolario della lingua italiana Ed.

Massimo Pittau – La grammatica etrusca (?) – Ed.

ecc. ecc.