FRA
RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI E SIMBOLOGIA
L’Idolo
in bronzo ritrovato al Peglio di Firenzuola (Firenze)
Mi diceva, tempo fa, un noto archeologo
toscano che nell’Appennino Tosco-Emiliano e Romagnolo, non sono stati
ritrovati, al momento, segni “tangibili” della presenza etrusca, se si eccettua
il rinvenimento al Peglio (Firenzuola) di un idoletto in bronzo che si trova (e
chissà perché) al Museo di Cortona. Questo idoletto in bronzo fu donato al Museo
di Cortona sel sec. XVIII e faceva parte di una donazione composta da reperti
provenienti da diverse parti dell’Etruria. Non esistono notizie precise in
merito a questa statuetta. Si sa solo che essa fu ritrovata nella zona del
Peglio, zona in cui era attivo un “vulcanello”, detto altrimenti “fuoco di
legno”,che emetteva esalazioni di metano, le quali, al contatto con l’aria,
prendevano fuoco illuminando la zona con un bagliore sinistro. La zona, per il
suo interesse scientifico, fu visitata, allora, anche da un illustre scienziato
italiano, inventore della pila: Alessandro Volta. Fu probabilmente in occasione
di tali ricerche scientifiche che venne alla luce tale statuetta, della quale
non sappiamo con esattezza chi fu il ritrovatore. Si tratta di una statuetta
fusa in bronzo, di un dio, molto probabilmente Tinia, raffigurato secondo
l’iconologia etrusca e, cioè: un giovane atletico nudo, imberbe, che tiene
serrato nella mano un oggetto che potrebbe rappresentare un fulmine o uno
scettro.
Pochissime sono le notizie che il Museo di
Cortona mette a disposizione degli studiosi, e cioè: che si tratta di una
divinità, uno Zeus (Tinia per gli Etruschi), che proviene dal Peglio di
Firenzuola (Firenze), che è stato ritrovato
in un santuario (tempio? edicola? pozzo?) e fa parte di una importante
collezione. Tutto qui. Ho provato a chiedere informazioni alla Soprintendenza
Archeologica di Firenze e alla Direzione del Museo di Cortona, ma purtroppo mi
hanno detto che non esistono altre informazioni riguardo all’idoletto in
bronzo.
Molti, specie gli addetti ai lavori, negano
che la zona dell’Alto Mugello (o Appennino Tosco-Romagnolo), sia zana etrusca,
in quanto, al momento, non esiterebbero risultanze tali da ammettere la presenza di villaggi
etruschi, anche se rinvenimenti (oltre all’idoletto) ce ne sono stati in
abbondanza. Nella prima metà dello scorso secolo, fu trovato un altro idoletto
(andato disperso?) sempre nella zona del Firenzuolino, presso Frena, una
località in cui passava una derivazione di una importante strada che portava in
Emilia Romagna. Ma non è tutto fra queste due strade, quella montana del
Peglio, che si dirigeva verso Marzabotto (Misa), e quella a mezza costa, lungo
il fiume Santerno, esisteva un’altra strada di fondo valle che conduceva nella
Valle dell’Idice e a Monterenzio dirigendosi verso Claterna. Proprio in
quest’ultime due località sono stati ritrovati importantissimi reperti etruschi
nel sito di Monte Bibele, reperti che si trovano attualmente nel locale museo
di Monterenzio. Altri “risultanze” etrusche sono affiorate nel palazzuolese, i
cui scavi sono tuttora in corso sotto la direzione del Dr. Luca Fedeli della Soprintendenza Archeologica
di Firenze.
Tutti questi ritrovamenti, a sud e a nord
dell’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo, sono qualcosa di tangibile e che non
fanno pensare a oggetti lasciati casualmente da commercianti etruschi durante i
viaggi verso il nord (Emilia-Romagna) o dal nord verso il sud delle città
dellEtruria meridionale. Ciò può anche essere vero, ma in parte. L’ipotesi più
probabile è che la zona appenninica fra Senio (Palazzuolo), Santerno
(Firenzuola), Monterenzio (Idice), Reno (Marzabotto), doveva essere ben più
popolata da genti etrusche di quanto si è finora creduto. Lo testimonierebbero
oltre ai rinvenimenti, i toponimi di derivazione etrusca e, non ultimo, la
simbologia.
La “tangibilità” della presenza etrusca,
via via che passa il tempo e che si approfondiscono gli studi, diventa sempre
più marcata, se si tiene conto anche del simbolismo, fortemente diffuso, in
quei luoghi. Il simbolo, da sempre, presso tutte le civiltà antiche, è stato il
segno, o meglio, il sigillo o la figura rappresentativa di un’idea, di un
concetto, ma anche della qualità delle cose, o del rango sociale di un
personaggio. Possiamo tranquillamente affermare che il simbolismo ha preceduto
la scrittura (che pure è autentico simbolismo), ha convissuto con essa per
secoli, forse millenni. I simboli hanno avuto sempre grande considerazione
presso le popolazioni antiche, le quali, hanno pensato ad essi come “portatori”
di valenza magica, esoterica e religiosa. Basti pensare alle “rune” celtiche,
ai segni della cabala, ai segni zodiacali, all’astronomia, e, non ultima,
l’alchimia. Il Medioevo, in particolare, per far riferimento a un’epoca non
troppo lontana da noi, ha tenuto molto in considerazione la simbologia, dei
colori, dei numeri, ecc. Basta recarsi in una delle nostre belle chiese
romaniche italiane (o francesi) per trovare nelle icone, negli affreschi, nelle
sculture e nell’architettura una sovrabbondanza di simboli laici e religiosi,
che l’uomo moderno, superficiale, fa fatica a comprendere.
La simbologia è stata da sempre un
riferimento, una regola fissa, ma, talvolta, anche una necessità. Dobbiamo
tornare per questo al tempo dei primi cristiani e al diffuso simbolismo delle
Catacombe, dove il Cristo veniva presentato con il simbolo del pesce, per
indicare la lettera greca, iniziale del Cristo, oppure con l’Alfa e l’Omega,
due lettere greche indicanti l’inizio e la fine , cioè la vita e la morte,
oppure nella forma rovesciata, morte-vita per indicare il fine escatologico
dell’essere vivente e, ancora, per indicare il Dio, l’Essere supremo e
superiore, insomma “Colui-che-è”.
Il Rinascimento, periodo caratterizzato
dalla riscoperta dei valori dell’uomo e del suo mondo, dalla riscoperta della
classicità e del paganesimo, ma anche periodo di forti contrasti
materialistico-religiosi metterà in second’ordine (per usare un eufemismo) il
simbolismo, sostituendolo con l’allegoria paganeggiante, che è tutt’altra cosa.
A Frassineta di Piedimonte presso
Palazzuolo (Firenze), in un antico resedio rurale, su una finestra arcaica, è
raffigurato un personaggio, una donna che lancia in aria una ruota, entro la
quale è iscritta una croce polare. La ruota, secondo l’antica simbologia,
rappresenterebbe il cielo o l’universo, mentre la croce polare l’unione di due
principi, cioè il cielo (principio attivo) e la terra (principio passivo).
Questo simbolismo, che forse però è anche una allegoria (simbolismo e allegoria,
pur nella loro definizione concettuale ben precisa, sono concetti astratti, e
molte volte si fondono l’uno nell’altro: il simbolismo nell’allegoria e
viceversa), starebbero a significare che la donna (principio passivo), regge
nelle sue mani la terra (ancora principio passivo) e il genere umano (principio
attivo e passivo). La donna è anche simbolo della spiritualità sacerdotale,
colei che ha generato il genere umano: la fattrice,
Paolo Campidori
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