Ricerca
di Paolo Campidori
(*con
aggiunta di note esplicative)
La fortuna “improvvisa” degli Etruschi, o
per lo meno di quei popoli che abitavano
Fra l’VIII e il VII secolo si assiste ad un
cambiamento “improvviso” del modo di vivere di queste popolazioni, che noi, per
semplificare le cose chiamiamo “Etruschi”. Questo cambiamento nella vita di
queste popolazioni tosco-laziali, almeno ai nostri occhi o secondo le nostre
conoscenze (ma, non è così) cambia in modo radicale, con una certa rapidità. La
civiltà cosiddetta “villanoviana” viveva in grosse capanne, seppelliva i loro
morti in pozzetti, scavati nel terreno e nella roccia, entro vasi di
terracotta, dopo averli cremati; adorava gli dei e li rappresentava con simboli
e graffiti su vasi, utensili, come la
cosidetta svastica; costruivano gli utensili per il fabbisogno domestico con
materiali quali l’argilla, il legno, l’osso, l’avorio, ecc., ma conoscevano
bene anche l’estrazione e la lavorazione dei metalli, la quale non avveniva a
carattere, come diremmo noi, “industriale”, ma solo ARTIGIANALE, ossia, per il
loro bisogno personale e del gruppo familiare. Non esisteva ancora in quei
popoli, molto intelligenti, ma ancora un po’ primitivi, l’idea di
arricchimento, come la concepiamo noi oggi. L’arricchimento semmai, era dovuto
all’accentramento dei capi di bestiame, e, forse, più tardi, con la
concentrazione delle proprietà terriere.
Se noi ammettiamo, dunque, che i popoli definiti
da noi “villanoviani” da Villanova, presso Bologna (il nome è quanto meno
restrittivo, poiché va considerato che questa “multi-etnìa” viveva sia sulle
sponde dell’Adriatico, sia nel centro delle regioni Appenniniche, sia sulla
costiera tirenica) erano bravissimi nella modellazione e nella cottura delle
terrecotte, dei buccheri, ecc. ma anche, come abbiamo detto, nella fusione e
nella lavorazione dei metalli, anche preziosi. E’ opinione certa che queste
popolazioni avessero raggiunto una tecnologia avanzatissima (anche se artigianale) per quanto riguarda la
costruzione di forni fusori in grado di raggiungere temperature elevate, che
permettevano loro di separare la roccia e il minerale terroso, dal metallo
(ferro, rame, argento, ecc.).
Dobbiamo però fare un punto sull’origine di
questa popolazione. Dobbiamo chiederci: chi erano questi villanoviani? Chi erano
i popoli che abitavano da tanto tempo questi luoghi? Sicuramente dobbiamo dar credito anche a un origine autoctona
di una parte di questo popolo, cioè di coloro che sono nati e
cresciuti in questi luoghi, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Però
non possiamo fermarci qui, dobbiamo cercare di conoscere quali altri popoli
formavano quella “multi-etnia”, che noi per semplificare le cose chiamiamo “villanoviano-etrusca”.
Dobbiamo chiederci allora, quali documenti
abbiamo per affermare questa cosa? Non possiamo certo risalire all’origine di
questo popolo dai reperti archeologici, questi tutt’al più potranno rivelarci a
chi sono appertenuti e tutta un’altra serie di informazioni e la loro
databilità compresa fra il IX-XIII sec. a-C. e il II sec. a.C.
Questi simboli, queste croci uncinate, mezzelune,
stelle, ecc. che si trovano graffite nei recipienti di terracotta, nelle tombe
a pozzetto, segnalate esternamente con simboli che si rifanno al passagio
dell’aldilà a forma di uovo, oppure simboli che definivano il sesso del
defunto, come simboli fallici, ecc., non ci danno un indizio sicuro, ma ci
dicono soltanto che essi si rifanno a popolazioni probabilmente semitiche molto
antiche provenienti dai territori della Mesopotamia.
Perche possiamo ipotizzare questa cosa?
Popoli semiti, hittiti, cassiti, dei territori di Babilonia, della Siria, hanno
in comune con i cosiddetti “villanoviani” certi tipi di credenze, certi simboli
come la stella, la luna (1), rasoi A
FORMA DI MEZZALUNA ecc. ecc. Sono solo mode importate? Questa cosa mi sembra
improbabile. Dobbiamo invece pensare, con una certa serietà, che
La risposta sarebbe la scrittura. Se in Etruria
nell’IX-VIII i villanoviani avessero avuto una scrittura uguale o simile, ad
esempio a quella di antichi popoli orientali ed avessero parlato le relative
lingue, questo ci avrebbe dato un sicuro indizio che i “Villanoviani” (non
ancora definiti Etruschi) potrebbero essere originari di quei luoghi.
Purtroppo, però, la scrittura, inizia nel
periodo fine VII secolo, quando i “villanoviani” non sono chiamati più con quel
nome, ma con il nome “Etruschi”. Questo nome, come quello per i villanoviani,
lo abbiamo ‘coniato’ noi, essi (etruschi), in realtà, si definivano “Rasena” o
“Rasenna” (nome del quale io ho ipotizzato, tempo fa, in un’altra mia ricerca,
la sua traduzione in: “popolo che si radeva col rasoio”, o, in sub-ordine,
popolo che adorava “la luna” (*), oppure, ancora “il popolo del Capo, dalla
radice semitica Ras”)
Cioè
la scrittura sulle urne, negli affreschi tombali, ecc. nel periodo di quel
cambiamento che a noi pare
“repentino”, ma, in realtà, non lo è più
di tanto. Che tipo di lingua è? Si tratta di un alfabeto greco, mutuato dai
greci della città antica di Cuma (città campana già colonizzata dagli Etruschi)
con una particolarità importante: la scrittura è sinistrorsa. Mi domando allora:
perché mutuare un alfabeto da una lingua straniera come il greco antico e poi
scrivere da destra verso sinistra (con le dovute eccezioni) e non da sinistra
verso destra, come usavano i greci antichi? Posso, per questa ragione, essere
autorizzato a pensare che ci sia stato un apporto medio orientale di
popolazioni, semite (2) (in modo
particolare) e altre dei territori della Mesopotamia, verso il XII-XI secolo
a.C o precedenti? A me questa cosa sembra del tutto possibile, anche perché in
Toscana sono sempre esistite (ed esistono tutt’ora) numerose comunità di
origine semita, che vivono proprio come vivevano i villanoviani e gli Etruschi
e i popoli orientali con i quali hanno
in comune moltissimi usi e tradizioni. Questi usi e caratteristiche sono, ad
esempio, il pane insipido toscano, la scrittura sinistrorsa (cha abbiamo già
detto), il modo di vivere in comunità organizzate in paesi arroccati sulle
colline, paesi che hanno tutti le stesse caratteristiche, basti pensare a
Pitigliano, Sorano, Campiglia, Suvereto, Castagneto Carducci, Populonia,
Talamone ecc. ecc. dove tuttora vivono comunità, oggi dette di ebrei, oppure
sono discendenti dalle stesse; alla stessa “c” toscana gutturale, detta “gorgia
toscana”, alla superstizioni e ai gesti scaramantici, ecc., come l’uso delle corna,
fatto con l’indice e l’anulare della mano, le cosiddette “fiche”, ecc.
Ma
tantissime altre sono le caratteristiche che legano la civiltà villanoviano-etrusca,
ai popoli di origine Semita, bisognerebbe fare un elenco lunghissimo. Dunque
“villanoviani “autoctoni” (mi si
perdoni questa definizione alquanto riduttiva del popolo etrusco) ma mescolati
con popolazioni di origine orientale e forse (solo più tardi, con i Fenici)
africane. Gli stessi etruschi definivano la loro etnia “Mexlum Rasneàs” e non
ci vuole molto a capire che si tratta di una “mescola”, di un insieme di razze,
riunite sotto un unico Capo (Ras). Inoltre la cosa non ci dovrebbe meravigliare più di
tanto, specialmente oggi, che arrivano migliaia e migliaia di questi profughi
da località del medio ed estremo Oriente, per fortuna con intenzioni pacifiche
e non come in passato, periodo in cui si registrano invasioni e razzie davvero
devastanti, subite dalle popolazioni italiche. (*)
Visto e considerato che la scrittura può
essere un aiuto(ma non più di tanto), per capire l’origine dei villanoviani-etruschi,
poiché non basta ritrovare un numero molto limitato di epigrafi (come è stato
ritrovatonella piccola isola di Lemno nel Mar Egeo) per definire con sicurezza
che una lingua e una scrittura (della quale noi possediamo invece decine di
migliaia di epigrafi) assomigliano all’Etrusco (dobbiamo, in questo caso, definire
e limitarci per forza al termine “etrusco” poiché non sappiamo con sicurezza
assoluta quale lingua parlassero i villanoviani). Certo, per conoscere l’origine
della lingua etrusca, bisognerà considerare un apporto notevole anche di certe popolazioni popolazioni dell’area
dell’Egeo, come ad esempio i Lidi.
Ritornando all’argomento. Il cambio di certi costumi, l’adozione
della scrittura, non sono elementi fondanti per affermare che il trapasso dal
villanoviano all’etrusco sia stato repentino. Ciò proverebbe invece che alla
popolazione multi-etnica “villanoviana” si sono aggiunte verso il VII sec. a.C.
altre popolazioni, forse anche più progredite, di origine ORIENTALE (3).
Noi possiamo dunque affermare, con
sufficiente certezza, che non vi sia stato un passaggio repentino delle
lavorazioni dei metalli da forme artigianali e forme “industriali” ma sia stato
un passaggio graduale nel tempo. (Questo
termine industriale, riferito ai villanoviani-etruschi è un po’ ingenuo. Basti
pensare che i popoli da noi considerati estraevano dai minerali solo una
piccola parte dei metali che variava dal 30 al 50%). Un “industria” quindi
ancora primitiva, ma senz’altro ottima per quei tempi.
E’ probabile che i villanoviani-etruschi,
con l’apporto di certe popolazioni, specialmente (potrei ipotizzare anche) gli
Hittiti, che erano “specialisti” nella lavorazione dei metalli, abbiamo dato un
apporto decisivo per le tecniche di estrazione del minerale nelle miniere
toscane e laziali e per la loro trasformazione in metalli e in armi, in modo
particolare. A questo deve aggiungersi il perfezionamento dei mezzi di
trasporto, delle navi, in particolare, per i trasporti via mare, e la
costruzione di una rete viaria che collegava fra di loro le città tosco-laziali, di antica
tradizione, e città cosiddette più moderne (circa V-IV sec. a.C.), dette
“carovaniere”, situate in punti strategici, come Misa (Marzabotto), in
provincia di Bologna e Gonfienti (Prato).
Per far capire meglio questo aspetto del
cosiddetto “improvviso benessere”
degli Etruschi, si potrebbe, ad esempio, fare un grafico, secondo i dettami
della moderna statistica. Questo grafico del “benessere” Etrusco, è
ipotizzabile, che abbia avuto un andamento crescente ma regolare all’inizio, dall’VIII al VII secolo, per poi avere una
forte impennata nei secoli VII-VI a.Ce una rapida discesa nel sec. V a.C.
Questo cambiamento è senz’altro dovuto allo sfruttamento dei minerali così
ricchi nei territori tosco-laziali,i Monti della Tolfa, e in Toscana, in particolare, Elba, Campiglia, Populonia,ecc.
Non
è ipotizzabile poter attribuire questo
cambiamento di abitudini e questo benessere esclusivamente all’agricoltura,
alla forestazione, all’allevamento e all’artigianato, che sono tipiche di una
società agricola, come lo era la cosiddetta società villanoviana.
Dunque gli etruschi debbono ai minerali
tosco-laziali e alla estrazione e lavorazione dei metalli quel cambiamento
economico, che li fa passare da popolazione semi-nomade a popolazione stanziale;
che dalle capanne li fa risiedere in città-stato organizzate con case costruite
in pietre murate; che da una religione primitiva, li porta a costruire templi
in muratura sempre più belli e complessi; che dalla forma funeraria della
cremazione dei suoi morti, si trasforma in inumazione in tombe a tumulo, alcune
di queste ricchissime e monumentali, proprio come quelle orientali; che da una
forma di baratto, passa ad una forma di monetazione; che da un linguaggio
simbolico sacrale passa ad una forma di espressione alfabetica, ecc.ecc.
Si potrebbe fare una equazione, forse un
po’ azzardata ma efficace: la società moderna (
Paolo Campidori
© Copyright Paolo Campidori
Fiesole, 13 settembre 2009
NOTE:
(1) LUNA – Riguardo a questo simbolo
possiamo precisare alcune cose:
(a) il copricapo portato dai Rabbini del tempio
all’età di Gesù Cristo, almeno secondo la iconologia ed iconografia artistica,
terminava con una ‘mezzaluna’ (sarebbe meglio dire un quarto di luna, o meglio
la falce della luna) posta quasi in
orizzontale, con il corno sinistro più sollevato di quello destro, che
corrisponderebbe alla falce di luna nel periodo estivo nel
mese di luglio? In una stele dell’VIII secolo a.C. è riportato il dio Sin, il
dio della Luna, il quale indossa un
copricapo, alla sommità del quale campeggia la falce di luna. Il dio è un atto
orante rivolto verso un simulacro, posto su una specie di colonna con alla sommità
(b) Le corna del toro, così spesso rappresentate
nell’antichità, dai popoli orientali e dagli Etruschi, vedi ad esempio, il
vitello d’oro, e moltissimi altri esempi, di teste di toro, (o vitello d’oro),
non sono altro che un riferimento alle corna, alle due estremità appuntite
della falce di luna. Nel racconto biblico c’è un episodio, quello del figliol
prodigo, il quale torna pentito dal padre e in suo onore viene ucciso un
vitello, quello più grasso. Anche qui il riferimento alle corna dell’animale e
la divinità della LUNA è evidente. Con il ritorno del figlio prodido, viene
ripristinato l’ordine, la pulizia da parte del ‘RAS’ che in questo caso è la
figura del padre. Ma gli esempi potrebbero continuare.
(c)
(dLUNELLA è il nome di persona che viene dato alle
donne tutt’oggi;
ecc. ecc.
(2) SEMITA –
Discendente di Sem, Asiatico. Dell’Asia orientale: Balilonese, assiro, ebreo,
arameo, siriaco, caldaico, assiro, si distinguono dalle ariane per il
trisillabismo delle radici, i suoni gutturali,
limitazione a due tempi e due generi, semplicità di sintassi, mancanza
di composti (Vocab. Zingarelli?)
Con riferimento alla lingua dei villanoviani, e
della possibile derivazione della stessa
dalla lingua semita (che come abbiamo detto è diverso dal dire lingua del
popolo ebreo antico, in quanto per semita si intende un “ceppo” dal quale di
dipartono diversi “rami”, mentre gli ebrei
antichi (e anche gli ebrei al tempo di Cristo) parlavano l’aramaico (*),
che è appunto un “ramo” della lingua di origine semita)
L’aramaico accolse la scrittura fenicia, ma col
tempo si trasformò in un proprio stile , detto “squadrato”. Gli antichi Israeliti e altri popoli di
Canaan adottarono questo alfabeto, per proprie lingue, così a noi oggi questa
scrittura è più conosciuta come alfabeto ebraico.
Si potrebbe qui fare una considerazione
interessante, e cioè, gli Israeliti e altri popoli di Canaan parlano
l’aramaico, però scelgono per la propria scrittura la fenicia, che è la
scrittura dei popoli nord africani che si affacciano sul Mediterraneo. Gli
stessi popoli, i fenici, che si trovano presenti in quel periodo nella parte
sud-occidentale della Sardegna, dove fondano una potente colonia. Quindi, è
legittimo ipotizzare che gli Israeliti, una ramo della famiglia degli ebrei,
nel loro lungo peregrinare, sono passati anche dall’Africa, probabilmente
risalendo dalla Somalia. Questa usanza ebraica (o di un ramo della stessa) di
adottare per la propria lingua un alfabeto diverso da quello dei popoli
orientali è accertatato e le ragioni potrebbero essere molteplici, ad esempio
quella di nascondere le proprie origini
(pur restando ebrei nella sostanza, e soprattutto nella religione), per potersi
meglio inserire nei territori occupati da popoli diversi dagli Ebrei.
L’analogia con quanto potrebbe essere soccesso nell’Etruria è evidente (*).
(*) L’ETRUSCO LINGUA SEMITICA?
Per quanto
riguarda la derivazione della lingua etrusca
da quella semitica non posso fare a meno di riportare alcune pagine
tratte dal libro di G.I: Ascoli (il quale non concordava con la tesi della
derivazione della lingua etrusca da quella semita) il cui titolo è: “INTORNO AI
RECENTI STUDJ DIRETTI A DIMOSTRARE IL SEMITISMO DELLA LINGUA ETRUSCA” (Da:
Archivio Storico Italiano – Deputazione di storia patria della Regione Toscana)
“Origini italiche, e principalmente etrusche,
rivelate da nomi geografici. Del P. Camillo TARQUINI della Compagnia di Gesù,
Professore del Collegio Romano. Nella Civiltà Cattolica, fasc. 6 giugno 1857,
pag. 551-72.
I misteri della lingua etrusca svelati dallo
stesso. Ibid. fasc. del 19 dicembre 1857 p. 727-42. Das Etruskische durch
Erklarung vom Inschriften und Namen als semitische Sprache erwiesen von Johan
Gustav Stickel, der Theologie und der Philosophie Doctor, ordent. Prof. der morg.
Sprachen, Director des grossherzol. Orient, Munzcabinet zu Jena, Hofrathe, ecc.
(L’etrusco addimostrato idioma semitico nonché
l’interpretamento di iscrizioni e di nomi, per Giovanni Gustavo Stickel,
dottore in teologia ed in filosofia, professore ordinario delle lingue
orientali, direttore del gabinetto
numismatico orientale del Vgranduca a Jena, consigliere aulico, ecc.)
Lipsia 1858, di pag. XVI e 296 e tre tavole……
“L’ETRUSCO SI
APPALESA UNA FAVELLA SEMITICA, vale a dire, come tutti intendono, una
lingua pertinente a quella famiglia d’idiomi
di cui son membri il fenicio, l’ebraico, l’arameo, l’arabo, l’etiopico,
e, più specialmente, si addimostra una favella che in qualche modo sta in
mezzo fra l’ebreo e l’aramaico”. Tale è la sentenza, in cui per studj
simultaneamente condotti, vennero a concordare, l’uno all’insaputa dell’altro,
il professore del Collegio Romano (Tarquini n.d.R.) e il professore di Jena
(Stickel n.d.R.). Simigliante sentenza fu in differenti tempi sostenuta da vari
eruditi italiani ma oggimai si rimaneva noncurata, allato a quelle che dissero
celtico o slavo il linguaggio delle misteriose iscrizioni degli Etruschi, e
pareva ancor sempre, alla generalità dei dotti, che minor disperanza di
sollevare il velo che le cuopre, dovesse restare a chi, sulle tracce dei Lanzi
e dei Vermiglioli, ci si adoprava col mezzo delle favelle greco-latine. Senonché
d’improvviso or ci sembrerebbe venuta d’Oriente la vera luce, e non a sprazzi
ma in masse abbondanti; ed ai ‘saggi di congetture’ che ci offerse la
coscienziosa perplessità dei più valenti campioni del sistema greco-latino, vediamo
arditamente contrapporsi, nelle scritture sovraccennate, la interpretazione
semitica di tutt’interi i maggiori testi etruschi.
Di più, quasi a
riprova della retta intelligenza delle epigrafi, sì il Tarquini e lo Stickel
ci porgono etimologie semitiche di nomi etruschi, o creduti etruschi, proprj di
luoghi geografici, ed anzi ha preso le mosse da questi, ci avrebbe per entro
scoperto anco certe comunanze di costume tra varie antiche popolazioni italiche
o fenicie; documento ulteriore della stretta affinità di codeste genti. Direi
quasi della loro medesimessa, giacché egli reputa che Pelasgi e Tirreni od
Etruschi, i quali sarebbero uno stesso popolo, ed altre stirpi italiane ancora,
son d’origine cananea, son genti trapiantatesi più o meno direttamente dalla
Cananea in ITALIA, e solo ammette il mescolamento ‘Lido’ nella Etruria
semitica; mentre per lo Stickel i Tirreni verrebbero di Lidia, come ritenne
anche O. Mueller (i Pelasgi tirrenici) e, com’era la persuasione più comune dei
Greci e dei Latini”
“Nel chiudere la “Introduzione” lo Stickel prega
quegli studiosi che favellassero al pubblico del suo lavoro, a dichiarare
anzitutto, se, per quanto in questo o quel particolare dissentissero, pur paja
loro che in generale risulti accertato dall’opera sua il semitismo della
lingua etrusca”.
Mi sembra doveroso e
onesto dire che L’Ascoli, autore del libro menzionato “Intorno ai recenti studj
diretti, ecc) dissente dalla teoria dei due studiosi, il Tarquini e lo Stickel,
il quale afferma: “A me sembra decisamente che no. Avvolto siccome riman sempre
l’idioma degli Etruschi entro a tenebre abbastanza dense, forse a taluno parrà
non lecito il negare che il turco esser possa un linguaggio semitico. Ma
all’incontro, non sarà lecito per certo, l’asserire ottenuta sin qui, in ben
che minima parte, la dimostrazione di tale semitismo”.
(3) DNA.
Come più
volte mi è sembrato giusto mettere in risalto che una parte del popolo etrusco potrebbe
avere origini semite, mi sembra doveroso accennare anche al fatto che
recentemente con la tecnica
avanzatissima della medicina scientifica e con l’uso del DNA anche
nell’archeologia, sono stati fatti interessanti esperimenti. Uno di questi
condotto dall’Università di Pavia e poi ripreso da una importante rivista
scientifica americana, su un campione di abitanti di un paese del senese,
campione tra l’altro circoscritto a solo un migliaio di persone, corrispondeva
per una breve percentuale ai popoli che si affacciano sui mari della Turchia.
La percentuale di concordanza arriverebbe a circa il 5%. Nessuno nega che fra
gli Etruschi possaesserci un apporto anche dei popoli dell’odierna Turchia, che
allora venivano definiti Lidi, Lemni, ecc. Tuttavia l’esperimento riguarda solo
una determinata zona, un piccolo saggio di persone e anche una piccola
percentuale di concordanza.
In un altro studio più recente riportato dal
Journal of Human Genetics afferma che “I Fenici sono i nostri “padri” lo dice
il DNA” e continua: “Il popolo che visse tra il 2750 e il
Vorrei a questo punto riportare quanto scrisse
l’archeologo Giulio Lensi Orlandi, nel suo libro “Il segreto degli Etruschi”
Ed. Atanòr, Roma, pag. 178.
Vale la pena riportare anche il giudizio
dell’archeologo Giulio Lensi Orlandi (Il sefreto degli Etruschi, op. cit.)
“La superbia e quanto mai aleatoria presunzione di
essere noi toscani i discendenti degli etruschi, noi fiorentini, noi aretini,
noi senesi o maremmani, ci fa supporre di poter riuscire a comprendere i nostri
antenati attraverso la nostra storia, il nostro pensiero, la nostra umanistica
cultura e non ci rendiamo conto di quale immensa distanza c’è tra noi e
quegli etruschi dei quali ostentiamo palesemente evidenti caratteristiche
somatiche. Conferma questa che le differenze fra la civiltà non consitono in
una serie di corrispondenze più o meno positive di globuli rossi o di
similitudini antropologiche, ma in qualche cosa di più profondo e impenetrabile
esclusivamente proprio dei valori dello spirito. (Giulio Lensi Orlandi – Il
segreto,ecc. op. citata)