LA FORTUNA “IMPROVVISA” DEGLI ETRUSCHI*

Ricerca di Paolo Campidori

(*con aggiunta di note esplicative)

 

La fortuna “improvvisa” degli Etruschi, o per lo meno di quei popoli che abitavano la Toscana e il Lazio, fra il fiume Arno e il fiume e il fiume Tevere, è da ravvisarsi sicuramente nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali che si trovavano in abbondanza all’Elba, come sulle colline metallifere dell’entroterra toscano-laziale.

Fra l’VIII e il VII secolo si assiste ad un cambiamento “improvviso” del modo di vivere di queste popolazioni, che noi, per semplificare le cose chiamiamo “Etruschi”. Questo cambiamento nella vita di queste popolazioni tosco-laziali, almeno ai nostri occhi o secondo le nostre conoscenze (ma, non è così) cambia in modo radicale, con una certa rapidità. La civiltà cosiddetta “villanoviana” viveva in grosse capanne, seppelliva i loro morti in pozzetti, scavati nel terreno e nella roccia, entro vasi di terracotta, dopo averli cremati; adorava gli dei e li rappresentava con simboli e graffiti su vasi, utensili,  come la cosidetta svastica; costruivano gli  utensili per il fabbisogno domestico con materiali quali l’argilla, il legno, l’osso, l’avorio, ecc., ma conoscevano bene anche l’estrazione e la lavorazione dei metalli, la quale non avveniva a carattere, come diremmo noi, “industriale”, ma solo ARTIGIANALE, ossia, per il loro bisogno personale e del gruppo familiare. Non esisteva ancora in quei popoli, molto intelligenti, ma ancora un po’ primitivi, l’idea di arricchimento, come la concepiamo noi oggi. L’arricchimento semmai, era dovuto all’accentramento dei capi di bestiame, e, forse, più tardi, con la concentrazione delle proprietà terriere.

 

Se noi ammettiamo, dunque, che i popoli definiti da noi “villanoviani” da Villanova, presso Bologna (il nome è quanto meno restrittivo, poiché va considerato che questa “multi-etnìa” viveva sia sulle sponde dell’Adriatico, sia nel centro delle regioni Appenniniche, sia sulla costiera tirenica) erano bravissimi nella modellazione e nella cottura delle terrecotte, dei buccheri, ecc. ma anche, come abbiamo detto, nella fusione e nella lavorazione dei metalli, anche preziosi. E’ opinione certa che queste popolazioni avessero raggiunto una tecnologia avanzatissima  (anche se artigianale) per quanto riguarda la costruzione di forni fusori in grado di raggiungere temperature elevate, che permettevano loro di separare la roccia e il minerale terroso, dal metallo (ferro, rame, argento, ecc.).

 

Dobbiamo però fare un punto sull’origine di questa popolazione. Dobbiamo chiederci: chi erano questi villanoviani? Chi erano i popoli che abitavano da tanto tempo questi luoghi? Sicuramente dobbiamo dar credito anche a un origine autoctona  di una parte di questo popolo, cioè di coloro che sono nati e cresciuti in questi luoghi, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Però non possiamo fermarci qui, dobbiamo cercare di conoscere quali altri popoli formavano quella “multi-etnia”, che noi per semplificare le cose chiamiamo “villanoviano-etrusca”.

Dobbiamo chiederci allora, quali documenti abbiamo per affermare questa cosa? Non possiamo certo risalire all’origine di questo popolo dai reperti archeologici, questi tutt’al più potranno rivelarci a chi sono appertenuti e tutta un’altra serie di informazioni e la loro databilità compresa fra il IX-XIII sec. a-C. e il II sec. a.C.

 

Questi simboli, queste croci uncinate, mezzelune, stelle, ecc. che si trovano graffite nei recipienti di terracotta, nelle tombe a pozzetto, segnalate esternamente con simboli che si rifanno al passagio dell’aldilà a forma di uovo, oppure simboli che definivano il sesso del defunto, come simboli fallici, ecc., non ci danno un indizio sicuro, ma ci dicono soltanto che essi si rifanno a popolazioni probabilmente semitiche molto antiche provenienti dai territori della Mesopotamia.

 

Perche possiamo ipotizzare questa cosa? Popoli semiti, hittiti, cassiti, dei territori di Babilonia, della Siria, hanno in comune con i cosiddetti “villanoviani” certi tipi di credenze, certi simboli come la stella, la luna (1),  rasoi A FORMA DI MEZZALUNA ecc. ecc. Sono solo mode importate? Questa cosa mi sembra improbabile. Dobbiamo invece pensare, con una certa serietà, che la Toscana, in epoche imprecisate, è stata “occupata”, ovvero “invasa” (probabilmente anche amichevomente, ma la cosa mi sembra improbabile) da popolazioni medio-orientali e dell’Asia. Non abbiamo, tuttavia, nessuna certezza di questo. Dobbiamo chiederci allora, cosa potrebbe venirci in aiuto per dare una certa consistenza a questa teoria?

 

La risposta sarebbe la scrittura. Se in Etruria nell’IX-VIII i villanoviani avessero avuto una scrittura uguale o simile, ad esempio a quella di antichi popoli orientali ed avessero parlato le relative lingue, questo ci avrebbe dato un sicuro indizio che i “Villanoviani” (non ancora definiti Etruschi) potrebbero essere originari di quei luoghi.

 

Purtroppo, però, la scrittura, inizia nel periodo fine VII secolo, quando i “villanoviani” non sono chiamati più con quel nome, ma con il nome “Etruschi”. Questo nome, come quello per i villanoviani, lo abbiamo ‘coniato’ noi, essi (etruschi), in realtà, si definivano “Rasena” o “Rasenna” (nome del quale io ho ipotizzato, tempo fa, in un’altra mia ricerca, la sua traduzione in: “popolo che si radeva col rasoio”, o, in sub-ordine, popolo che adorava “la luna” (*), oppure, ancora “il popolo del Capo, dalla radice semitica Ras”)

 

 Cioè la scrittura sulle urne, negli affreschi tombali, ecc. nel periodo di quel cambiamento che a noi pare “repentino”, ma, in realtà,  non lo è più di tanto. Che tipo di lingua è? Si tratta di un alfabeto greco, mutuato dai greci della città antica di Cuma (città campana già colonizzata dagli Etruschi) con una particolarità importante: la scrittura è sinistrorsa. Mi domando allora: perché mutuare un alfabeto da una lingua straniera come il greco antico e poi scrivere da destra verso sinistra (con le dovute eccezioni) e non da sinistra verso destra, come usavano i greci antichi? Posso, per questa ragione, essere autorizzato a pensare che ci sia stato un apporto medio orientale di popolazioni, semite (2) (in modo particolare) e altre dei territori della Mesopotamia, verso il XII-XI secolo a.C o precedenti? A me questa cosa sembra del tutto possibile, anche perché in Toscana sono sempre esistite (ed esistono tutt’ora) numerose comunità di origine semita, che vivono proprio come vivevano i villanoviani e gli Etruschi e i popoli orientali con i quali  hanno in comune moltissimi usi e tradizioni. Questi usi e caratteristiche sono, ad esempio, il pane insipido toscano, la scrittura sinistrorsa (cha abbiamo già detto), il modo di vivere in comunità organizzate in paesi arroccati sulle colline, paesi che hanno tutti le stesse caratteristiche, basti pensare a Pitigliano, Sorano, Campiglia, Suvereto, Castagneto Carducci, Populonia, Talamone ecc. ecc. dove tuttora vivono comunità, oggi dette di ebrei, oppure sono discendenti dalle stesse; alla stessa “c” toscana gutturale, detta “gorgia toscana”, alla superstizioni e ai gesti scaramantici, ecc., come l’uso delle corna, fatto con l’indice e l’anulare della mano, le cosiddette “fiche”, ecc.

 

 

 Ma tantissime altre sono le caratteristiche che legano la civiltà villanoviano-etrusca, ai popoli di origine Semita, bisognerebbe fare un elenco lunghissimo. Dunque “villanoviani “autoctoni” (mi si perdoni questa definizione alquanto riduttiva del popolo etrusco) ma mescolati con popolazioni di origine orientale e forse (solo più tardi, con i Fenici) africane. Gli stessi etruschi definivano la loro etnia “Mexlum Rasneàs” e non ci vuole molto a capire che si tratta di una “mescola”, di un insieme di razze, riunite sotto un unico Capo (Ras). Inoltre  la cosa non ci dovrebbe meravigliare più di tanto, specialmente oggi, che arrivano migliaia e migliaia di questi profughi da località del medio ed estremo Oriente, per fortuna con intenzioni pacifiche e non come in passato, periodo in cui si registrano invasioni e razzie davvero devastanti, subite dalle popolazioni italiche. (*)

 

Visto e considerato che la scrittura può essere un aiuto(ma non più di tanto),  per capire l’origine dei villanoviani-etruschi, poiché non basta ritrovare un numero molto limitato di epigrafi (come è stato ritrovatonella piccola isola di Lemno nel Mar Egeo) per definire con sicurezza che una lingua e una scrittura (della quale noi possediamo invece decine di migliaia di epigrafi) assomigliano all’Etrusco (dobbiamo, in questo caso, definire e limitarci per forza al termine “etrusco” poiché non sappiamo con sicurezza assoluta quale lingua parlassero i villanoviani). Certo, per conoscere l’origine della lingua etrusca, bisognerà considerare un apporto notevole anche  di certe popolazioni popolazioni dell’area dell’Egeo, come ad esempio i Lidi.

 

Ritornando all’argomento. Il cambio di certi costumi, l’adozione della scrittura, non sono elementi fondanti per affermare che il trapasso dal villanoviano all’etrusco sia stato repentino. Ciò proverebbe invece che alla popolazione multi-etnica “villanoviana” si sono aggiunte verso il VII sec. a.C. altre popolazioni, forse anche più progredite, di origine ORIENTALE (3).

 

Noi possiamo dunque affermare, con sufficiente certezza, che non vi sia stato un passaggio repentino delle lavorazioni dei metalli da forme artigianali e forme “industriali” ma sia stato un passaggio graduale nel tempo. (Questo termine industriale, riferito ai villanoviani-etruschi è un po’ ingenuo. Basti pensare che i popoli da noi considerati estraevano dai minerali solo una piccola parte dei metali che variava dal 30 al 50%). Un “industria” quindi ancora primitiva, ma senz’altro ottima per quei tempi.

 

E’ probabile che i villanoviani-etruschi, con l’apporto di certe popolazioni, specialmente (potrei ipotizzare anche) gli Hittiti, che erano “specialisti” nella lavorazione dei metalli, abbiamo dato un apporto decisivo per le tecniche di estrazione del minerale nelle miniere toscane e laziali e per la loro trasformazione in metalli e in armi, in modo particolare. A questo deve aggiungersi il perfezionamento dei mezzi di trasporto, delle navi, in particolare, per i trasporti via mare, e la costruzione di una rete viaria che collegava  fra di loro le città tosco-laziali, di antica tradizione, e città cosiddette più moderne (circa V-IV sec. a.C.), dette “carovaniere”, situate in punti strategici, come Misa (Marzabotto), in provincia di Bologna e Gonfienti (Prato).

 

Per far capire meglio questo aspetto del cosiddetto “improvviso benessere” degli Etruschi, si potrebbe, ad esempio, fare un grafico, secondo i dettami della moderna statistica. Questo grafico del “benessere” Etrusco, è ipotizzabile, che abbia avuto un andamento crescente ma regolare all’inizio,  dall’VIII al VII secolo, per poi avere una forte impennata nei secoli VII-VI a.Ce una rapida discesa nel sec. V a.C. Questo cambiamento è senz’altro dovuto allo sfruttamento dei minerali così ricchi nei territori tosco-laziali,i Monti della Tolfa, e in Toscana,  in particolare, Elba, Campiglia, Populonia,ecc.

 

 Non è ipotizzabile poter  attribuire questo cambiamento di abitudini e questo benessere esclusivamente all’agricoltura, alla forestazione, all’allevamento e all’artigianato, che sono tipiche di una società agricola, come lo era la cosiddetta società villanoviana.

 

Dunque gli etruschi debbono ai minerali tosco-laziali e alla estrazione e lavorazione dei metalli quel cambiamento economico, che li fa passare da popolazione semi-nomade a popolazione stanziale; che dalle capanne li fa risiedere in città-stato organizzate con case costruite in pietre murate; che da una religione primitiva, li porta a costruire templi in muratura sempre più belli e complessi; che dalla forma funeraria della cremazione dei suoi morti, si trasforma in inumazione in tombe a tumulo, alcune di queste ricchissime e monumentali, proprio come quelle orientali; che da una forma di baratto, passa ad una forma di monetazione; che da un linguaggio simbolico sacrale passa ad una forma di espressione alfabetica, ecc.ecc.

 

Si potrebbe fare una equazione, forse un po’ azzardata ma efficace: la società moderna (la  Occidentale nostra per capirsi) si trasforma con l’industrializzazione avvenuta ad iniziare dal XVIII sec. e l’estrazione e lo sfruttamento delle materie prime e del petrolio iniziata agli inizi del sec. XX (energia quest’ultima,  che ha permesso alla società odierna un progresso industriale e scientifico senza pari) come, la società antica villanoviano-etrusca si trasforma con lo sfruttamento intensivo delle miniere e la lavorazione dei metalli.

 

Paolo Campidori

© Copyright Paolo Campidori

Fiesole, 13 settembre 2009 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

 

   (1) LUNA – Riguardo a questo simbolo possiamo precisare alcune cose:

 

(a) il copricapo portato dai Rabbini del tempio all’età di Gesù Cristo, almeno secondo la iconologia ed iconografia artistica, terminava con una ‘mezzaluna’ (sarebbe meglio dire un quarto di luna, o meglio la falce della luna)  posta quasi in orizzontale, con il corno sinistro più sollevato di quello destro, che corrisponderebbe alla falce di luna nel periodo estivo nel mese di luglio? In una stele dell’VIII secolo a.C. è riportato il dio Sin, il dio della Luna, il quale indossa  un copricapo, alla sommità del quale campeggia la falce di luna. Il dio è un atto orante rivolto verso un simulacro, posto su una specie di colonna con alla sommità LA FALCE DI LUNA. Per estensione potremmo dire che ‘falce’, è anche l’utensile che serve per RADERE l’erba e il ‘rasoio’, sempre a forma di falce di luna, serve a RADERE la barba, i capelli, insomma serve alla pulizia della persona. Questa radice RAS, assomiglia tanto al nostro ras di rasoio, ma ha pure anche un altro significato, quello di CAPO. Si potrebbe ipotizzare, ma è solo una congettura, che RAS, sia colui che è incaricato della ‘pulizia’, cioè dell’ordine pubblico di una città, in altre parole il Capo?

 

(b) Le corna del toro, così spesso rappresentate nell’antichità, dai popoli orientali e dagli Etruschi, vedi ad esempio, il vitello d’oro, e moltissimi altri esempi, di teste di toro, (o vitello d’oro), non sono altro che un riferimento alle corna, alle due estremità appuntite della falce di luna. Nel racconto biblico c’è un episodio, quello del figliol prodigo, il quale torna pentito dal padre e in suo onore viene ucciso un vitello, quello più grasso. Anche qui il riferimento alle corna dell’animale e la divinità della LUNA è evidente. Con il ritorno del figlio prodido, viene ripristinato l’ordine, la pulizia da parte del ‘RAS’ che in questo caso è la figura del padre. Ma gli esempi potrebbero continuare.

 

(c) La Luna – esiste come località, un paesino presso San Piero a Sieve nel Mugello. Non credo che questo nome si riferisca ad altro se non al fatto che in quel posto esisteva anticamente un qualcosa di sacro, dedicato alla luna e questo poteva essere una statua, un tempietto, oppure un santuario etrusco;

(dLUNELLA è il nome di persona che viene dato alle donne tutt’oggi;

ecc. ecc.

 

(2) SEMITA – Discendente di Sem, Asiatico. Dell’Asia orientale: Balilonese, assiro, ebreo, arameo, siriaco, caldaico, assiro, si distinguono dalle ariane per il trisillabismo delle radici, i suoni gutturali,  limitazione a due tempi e due generi, semplicità di sintassi, mancanza di composti (Vocab. Zingarelli?)

Con riferimento alla lingua dei villanoviani, e della  possibile derivazione della stessa dalla lingua semita (che come abbiamo detto è diverso dal dire lingua del popolo ebreo antico, in quanto per semita si intende un “ceppo” dal quale di dipartono diversi “rami”, mentre gli ebrei  antichi (e anche gli ebrei al tempo di Cristo) parlavano l’aramaico (*), che è appunto un “ramo” della lingua di origine semita)

 

L’aramaico accolse la scrittura fenicia, ma col tempo si trasformò in un proprio stile , detto “squadrato”.  Gli antichi Israeliti e altri popoli di Canaan adottarono questo alfabeto, per proprie lingue, così a noi oggi questa scrittura è più conosciuta come alfabeto ebraico.

Si potrebbe qui fare una considerazione interessante, e cioè, gli Israeliti e altri popoli di Canaan parlano l’aramaico, però scelgono per la propria scrittura la fenicia, che è la scrittura dei popoli nord africani che si affacciano sul Mediterraneo. Gli stessi popoli, i fenici, che si trovano presenti in quel periodo nella parte sud-occidentale della Sardegna, dove fondano una potente colonia. Quindi, è legittimo ipotizzare che gli Israeliti, una ramo della famiglia degli ebrei, nel loro lungo peregrinare, sono passati anche dall’Africa, probabilmente risalendo dalla Somalia. Questa usanza ebraica (o di un ramo della stessa) di adottare per la propria lingua un alfabeto diverso da quello dei popoli orientali è accertatato e le ragioni potrebbero essere molteplici, ad esempio quella  di nascondere le proprie origini (pur restando ebrei nella sostanza, e soprattutto nella religione), per potersi meglio inserire nei territori occupati da popoli diversi dagli Ebrei. L’analogia con quanto potrebbe essere soccesso nell’Etruria è evidente (*).

 

 

(*) L’ETRUSCO LINGUA SEMITICA?

 Per quanto riguarda la derivazione della lingua etrusca  da quella semitica non posso fare a meno di riportare alcune pagine tratte dal libro di G.I: Ascoli (il quale non concordava con la tesi della derivazione della lingua etrusca da quella semita) il cui titolo è: “INTORNO AI RECENTI STUDJ DIRETTI A DIMOSTRARE IL SEMITISMO DELLA LINGUA ETRUSCA” (Da: Archivio Storico Italiano – Deputazione di storia patria della Regione Toscana)

“Origini italiche, e principalmente etrusche, rivelate da nomi geografici. Del P. Camillo TARQUINI della Compagnia di Gesù, Professore del Collegio Romano. Nella Civiltà Cattolica, fasc. 6 giugno 1857, pag. 551-72.

I misteri della lingua etrusca svelati dallo stesso. Ibid. fasc. del 19 dicembre 1857 p. 727-42. Das Etruskische durch Erklarung vom Inschriften und Namen als semitische Sprache erwiesen von Johan Gustav Stickel, der Theologie und der Philosophie Doctor, ordent. Prof. der morg. Sprachen, Director des grossherzol. Orient, Munzcabinet zu Jena, Hofrathe, ecc.

(L’etrusco addimostrato idioma semitico nonché l’interpretamento di iscrizioni e di nomi, per Giovanni Gustavo Stickel, dottore in teologia ed in filosofia, professore ordinario delle lingue orientali, direttore del gabinetto  numismatico orientale del Vgranduca a Jena, consigliere aulico, ecc.) Lipsia 1858, di pag. XVI e 296 e tre tavole……

 

L’ETRUSCO SI APPALESA UNA FAVELLA SEMITICA, vale a dire, come tutti intendono, una lingua pertinente a quella famiglia d’idiomi  di cui son membri il fenicio, l’ebraico, l’arameo, l’arabo, l’etiopico, e, più specialmente, si addimostra una favella che in qualche modo sta in mezzo fra l’ebreo e l’aramaico”. Tale è la sentenza, in cui per studj simultaneamente condotti, vennero a concordare, l’uno all’insaputa dell’altro, il professore del Collegio Romano (Tarquini n.d.R.) e il professore di Jena (Stickel n.d.R.). Simigliante sentenza fu in differenti tempi sostenuta da vari eruditi italiani ma oggimai si rimaneva noncurata, allato a quelle che dissero celtico o slavo il linguaggio delle misteriose iscrizioni degli Etruschi, e pareva ancor sempre, alla generalità dei dotti, che minor disperanza di sollevare il velo che le cuopre, dovesse restare a chi, sulle tracce dei Lanzi e dei Vermiglioli, ci si adoprava col mezzo delle favelle greco-latine. Senonché d’improvviso or ci sembrerebbe venuta d’Oriente la vera luce, e non a sprazzi ma in masse abbondanti; ed ai ‘saggi di congetture’ che ci offerse la coscienziosa perplessità dei più valenti campioni del sistema greco-latino, vediamo arditamente contrapporsi, nelle scritture sovraccennate, la interpretazione semitica di tutt’interi i maggiori testi etruschi.

Di più, quasi a riprova della retta intelligenza delle epigrafi, sì il Tarquini e lo Stickel ci porgono etimologie semitiche di nomi etruschi, o creduti etruschi, proprj di luoghi geografici, ed anzi ha preso le mosse da questi, ci avrebbe per entro scoperto anco certe comunanze di costume tra varie antiche popolazioni italiche o fenicie; documento ulteriore della stretta affinità di codeste genti. Direi quasi della loro medesimessa, giacché egli reputa che Pelasgi e Tirreni od Etruschi, i quali sarebbero uno stesso popolo, ed altre stirpi italiane ancora, son d’origine cananea, son genti trapiantatesi più o meno direttamente dalla Cananea in ITALIA, e solo ammette il mescolamento ‘Lido’ nella Etruria semitica; mentre per lo Stickel i Tirreni verrebbero di Lidia, come ritenne anche O. Mueller (i Pelasgi tirrenici) e, com’era la persuasione più comune dei Greci e dei Latini”

 

“Nel chiudere la “Introduzione” lo Stickel prega quegli studiosi che favellassero al pubblico del suo lavoro, a dichiarare anzitutto, se, per quanto in questo o quel particolare dissentissero, pur paja loro che in generale risulti accertato dall’opera sua il semitismo della lingua etrusca”.

 

Mi sembra doveroso e onesto dire che L’Ascoli, autore del libro menzionato “Intorno ai recenti studj diretti, ecc) dissente dalla teoria dei due studiosi, il Tarquini e lo Stickel, il quale afferma: “A me sembra decisamente che no. Avvolto siccome riman sempre l’idioma degli Etruschi entro a tenebre abbastanza dense, forse a taluno parrà non lecito il negare che il turco esser possa un linguaggio semitico. Ma all’incontro, non sarà lecito per certo, l’asserire ottenuta sin qui, in ben che minima parte, la dimostrazione di tale semitismo”.

 

 

(3) DNA.

 

 Come più volte mi è sembrato giusto mettere in risalto che una parte del popolo etrusco potrebbe avere origini semite, mi sembra doveroso accennare anche al fatto che recentemente con la tecnica  avanzatissima della medicina scientifica e con l’uso del DNA anche nell’archeologia, sono stati fatti interessanti esperimenti. Uno di questi condotto dall’Università di Pavia e poi ripreso da una importante rivista scientifica americana, su un campione di abitanti di un paese del senese, campione tra l’altro circoscritto a solo un migliaio di persone, corrispondeva per una breve percentuale ai popoli che si affacciano sui mari della Turchia. La percentuale di concordanza arriverebbe a circa il 5%. Nessuno nega che fra gli Etruschi possaesserci un apporto anche dei popoli dell’odierna Turchia, che allora venivano definiti Lidi, Lemni, ecc. Tuttavia l’esperimento riguarda solo una determinata zona, un piccolo saggio di persone e anche una piccola percentuale di concordanza.

In un altro studio più recente riportato dal Journal of Human Genetics afferma che “I Fenici sono i nostri “padri” lo dice il DNA” e continua: “Il popolo che visse tra il 2750 e il 146 a.C. contribuisce al 6% del DNA degli abitanti del bacino del Mediterraneo.

Vorrei a questo punto riportare quanto scrisse l’archeologo Giulio Lensi Orlandi, nel suo libro “Il segreto degli Etruschi” Ed. Atanòr, Roma, pag. 178.

Vale la pena riportare anche il giudizio dell’archeologo Giulio Lensi Orlandi (Il sefreto degli Etruschi, op. cit.)

“La superbia e quanto mai aleatoria presunzione di essere noi toscani i discendenti degli etruschi, noi fiorentini, noi aretini, noi senesi o maremmani, ci fa supporre di poter riuscire a comprendere i nostri antenati attraverso la nostra storia, il nostro pensiero, la nostra umanistica cultura e non ci rendiamo conto di quale immensa distanza c’è tra noi e quegli etruschi dei quali ostentiamo palesemente evidenti caratteristiche somatiche. Conferma questa che le differenze fra la civiltà non consitono in una serie di corrispondenze più o meno positive di globuli rossi o di similitudini antropologiche, ma in qualche cosa di più profondo e impenetrabile esclusivamente proprio dei valori dello spirito. (Giulio Lensi Orlandi – Il segreto,ecc. op. citata)