“A proposito di emblemi, in chiesa (San Gavino Adimari n.d.R.)...è incastrato nel muro un marmo con arme e senza lettere, cosa molto antica. La tradizione lo ritiene dei Conti Alberti”. Così lo studioso Carlo Calzolai in Chiesa Fiorentina a pag 146 ci descrive questo lastrone marmoreo. A parte l’ubicazione che il Calzolai ci da dello stesso, “nella facciata a mano destra” che non corrispomde più perché lo stesso si trova sulla parete sinistra all’interno della chiesa, guardando l’altare. Anche il Brocchi (1747) ne riferisce questa ubicazione, mentre il Niccolai (1914) ci da l’ubicazione attuale. Io posso confermare di aver visitato la chiesa, circa 20 anni fa e di averlo trovato e fotografato sulla parete e non sulla facciata interna della chiesa. Ma veniamo adesso a parlare di questo lastrone marmoreo che ci parla a distanza di circa 800 anni con il suo linguaggio universale che è rappresentato dai simboli. Questi sono molto importanti, nel medioevo, ma anche nell’antichità cristiana e perfino etrusca. I simboli trascendono la parola, sono qualcosa di più del linguaggio, poiché il linguaggio cambia con il tempo e con i luoghi, ma i simboli invece rimangono immutabili e universali. Ma cerchiamo di descrivere questo lastrone marmoreo. Il Brocchi ci informa: ”lastrone di pietra (e già qui c’è una divergenza con il Calzolai in Chiesa Fiorentina che parla di lastrone marmoreo) largo braccia quattro e alto un braccio e due terzi”. Per capire le dimensioni esatte con il sistema metrico decimale attuale, ci da una mano il Niccolai, che riferisce: “simbolico lastrone lapideo sepolcrale in altorilievo (direi meglio un bassorilievo, se ben ricordo). Esso è di forma rettangolare e misura mt. 2,10x0,88. Le misure corrispondono con quelle del Brocchi, quindi si ha la certezza che il lastrone di cui parla il Brocchi è quello visto dal Niccolai, e non altri. Ma parliamo ora della ricca simbologia che è raffigurata in questo lastrone. Al centro di esso si trova uno scudo o emblema araldico, che dir si voglia, composto da uno scudo fasciato (tre fasce o quattro fasce se si considera la fascia che compone la croce), con la croce sovrastante. Come dicevamo, questo scudo fasciato, ha una forma semplice, facile da distinguere, facile da dipingere e anche facile da riconoscere a distanza e da ricordare. Rifacendosi all’araldica dobbiamo dire qualcosa su questa. Il nome deriva da “araldo”. Incontriamo questi primi personaggi negli utlimi decenni del XII secolo, in occasione dei tornei, nei quali i cavalieri provavano la loro abilità in battaglia. Gli araldi adumavano i combattenti nei tornei, li annunciavano entrando in campo e proclamavano il vincitore. Sia lo scudo che l’elmo appartenevano alla parte difensiva dell’equipaggiamento di un guerriero medievale ed entrambi sono adatti per essere decorati e questo serviva per riconoscere in battaglia un guerriero dall’altro. L’emblema del lastrone di San Gavino sembra, ma con una certa sicurezza, appartenere all’antica famiglia degli Alberti, signori di questo territorio e il cui castello (Castel Migliari) si trovava su un poggio, alla destra del torrente Stura, dalla parte della chiesa, e dall’altra parte strapiomba sul torrente Navale. Adesso, dove c’era il Castello, c’è una spianata prativa, i cui ruderi sono stati da tempo inglobati nel terreno e nella vegetazione che li hanno occultati del tutto. A questo posto rimane il nome di Castellaccio. Bisogna dire che questo castello rimase agli Alberti fino al 1325 e quindi fu venduto alla Repubblica Fiorentina. Solo nel 1359 il Conte Tano se ne impadronì illegittimamente, durante il suo ultimo asilo, essendo egli ghibellino e fieramente avverso alla Repubblica. Questo purtroppo gli costò la vita, anzi gli costò la testa, poiché il 14 settembre del 1360 fu decapitato a Firenze. Il suo corpo riposa nella chiesa di Santa Croce, quindi non c’è alcun dubbio che il lastrone di cui stiamo parlando gli appartenga. Torniamo alla descrizione. Lo stemma è sostenuto da due leoni, e qui su queste figure di animali, mi sembra ci sia molta confusione. Il Brocchi parla di due leoni rampanti. Bisogna dir subito, per la precisione, che si tratta di due leoni “passanti”, nell’araldica francese detti anche “lion léopardé”, con le teste rivolte in avanti verso l’emblema araldico. Altri studiosi parlano di “draghi alati”, come lo studioso Niccolai o il Becattini e Granchi. Io sono dell’idea che si tratti proprio di leoni, dotati di una ricca criniera, e non di ali, come è stato detto. In basso, agli angoli destro e sinistro troviamo questa volta, veramente due piccoli draghi alati o basilischi che sostengono nelle loro bocche, semi aperte, delle fronde o racemi che dir si voglia, di quercia. Foglie di quercia le troviamo anche alla base dello scudo. Tutto intorno a fare cornice al lastrone, una dietro l’altra per un totale di 43 più 3, troviamo una fila di anatre, che farebbero pensare all’età dell’occupante il sacello, se davvero questa fosse una lastra tombale. Tutti gli studiosi asseriscono che le bestioline che fanno da cornice non siano altro che colombe.Io sono di parere contrario. A ma sembrano più delle anatre, anche perché queste quando camminano, lo fanno stando una dietro all’altra, in fila indiana, e dirò anche che queste anatre non sono state poste lì a caso. Nella simbologia antica, anche etrusca, le anatre hanno rappresentato la vittoria e alludono all’impossibilità che queste hanno di affondare e allo stesso tempo alla possibilità di traghettare o meglio di passare all’altra sponda, senza pericolo. Esse alludono alla vittoria sulle forze telluriche, oscure e titaniche. L’emblema del lastrone di San Gavino sembra, ma con una certa sicurezza, appartenere all’antica famiglia degli Alberti, signori di questo territorio e il cui castello (Castel Migliari) si trovava su un poggio, alla destra del torrente Stura, dalla parte della chiesa, e dall’altra parte strapiomba sul torrente Navale. Adesso, dove c’era il Castello, c’è una spianata prativa, i cui ruderi sono stati da tempo inglobati nel terreno e nella vegetazione che li hanno occultati del tutto. A questo posto rimane il nome di Castellaccio. Bisogna dire che questo castello rimase agli Alberti fino al 1325 e quindi fu venduto alla Repubblica Fiorentina. Solo nel 1359 il Conte Tano se ne impadronì illegittimamente, durante il suo ultimo asilo, essendo egli ghibellino e fieramente avverso alla Repubblica. Questo purtroppo gli costò la vita, anzi gli costò la testa, poiché il 14 settembre del 1360 fu decapitato a Firenze. Il suo corpo riposa nella chiesa di Santa Croce, quindi non c’è alcun dubbio che il lastrone di cui stiamo parlando gli appartenga. Torniamo alla descrizione. Lo stemma è sostenuto da due leoni, e qui su queste figure di animali, mi sembra ci sia molta confusione. Il Brocchi parla di due leoni rampanti. Bisogna dir subito, per la precisione, che si tratta di due leoni “passanti”, nell’araldica francese detti anche “lion léopardé”, con le teste rivolte in avanti verso l’emblema araldico. Altri studiosi parlano di “draghi alati”, come lo studioso Niccolai o il Becattini e Granchi. Io sono dell’idea che si tratti proprio di leoni, dotati di una ricca criniera, e non di ali, come è stato detto. In basso, agli angoli destro e sinistro troviamo questa volta, veramente due piccoli draghi alati o basilischi che sostengono nelle loro bocche, semi aperte, delle fronde o racemi che dir si voglia, di quercia. Foglie di quercia le troviamo anche alla base dello scudo. Tutto intorno a fare cornice al lastrone, una dietro l’altra per un totale di 43 più 3, troviamo una fila di anatre, che farebbero pensare all’età dell’occupante il sacello, se davvero questa fosse una lastra tombale. Tutti gli studiosi asseriscono che le bestioline che fanno da cornice non siano altro che colombe.Io sono di parere contrario. A ma sembrano più delle anatre, anche perché queste quando camminano, lo fanno stando una dietro all’altra, in fila indiana, e dirò anche che queste anatre non sono state poste lì a caso. Nella simbologia antica, anche etrusca, le anatre hanno rappresentato la vittoria e alludono all’impossibilità che queste hanno di affondare e allo stesso tempo alla possibilità di traghettare o meglio di passare all’altra sponda, senza pericolo. Esse alludono alla vittoria sulle forze telluriche, oscure e titaniche.
Tutto il lastrone è impregnato di questo concetto, di questo messaggio, oscuro a chi non conosce il linguaggio dei simboli. Anche le fronde di quercia hanno il medesimo significato. Nell’antichità l’iniziato per raggiungere l’altezza luminosa del cielo e gustare la bevanda dell’immortalità veniva inghirlandato di foglie d’ulivo, d’alloro o di quercia. La quercia poi è il simbolo dell’immortalità, poiché il suo legno nel mondo antico e nel medioevo era considerato incorruttibile. Alle foglie di quercia poi era attribuito il potere di incantare i leoni. Il leone ha sempre rappresentato la vittoria. Nell’araldica è sempre stato il più popolare quadrupede. Lo troviamo in innumerevoli armi con stemma e anche come cimiero (la parte che sovrasta l’elmo). I serpenti, o basilischi o piccoli dragoni alati, che si trovano agli angoli in basso del lastrone, nella mitologia dell’antica Grecia e dei paesi nordici, il dragone era un guardiano di oracoli, vergini e tesori. Anche la croce, che è il simbolo cristiano per eccellenza, la ritroviamo anche nell’antichità etrusca, questo simbolo rappresenta il superamento o la vittoria. Come abbiamo visto, tutti questi simboli, diversi fra loro, hanno tutti lo stesso significato, cioè la Vittoria, il passaggio da una vita terrena a una vita immortale, cioè la vittoria della vita sulla morte, in una dimensione escatologica. Anche se io non mi sono espresso in maniera proprio decisa, data la sua ricca simbologia che richiama alla vita ultraterrena, il lastrone in oggetto potrebbe proprio trattarsi di un lastrone tombale del sec. XIII-XIV. Tuttavia, non escluderei in maniera assoluta, che possa trattarsi anche qualcosa di diverso, ad esempio, nei Castelli di Poppi (sec XIV) o nel Castello di Cantagallo presso Castel del Rio (Imola) esistono lastroni simili che sormontano i portoni di ingresso di tali castelli. Ma esistono anche numerosi altri esempi. Se compariamo questi con una lastra tombale, tipica di questi tempi e di questi luoghi, ad esempio la piccola lastra tombale del sec, XIII murata nel chiostro della chiesa di Gagliano, noi vediamo che è completamente diversa. Inoltre una scritta della stessa in caratteri onciali, dice che questa lastra appartiene a un membro degli Ubaldini e ai suoi figli. Sopra la scritta compare il teschio del cervo che connota questa illustre famiglia mugellana. Nel lastrone del castello di Poppi un leone dalla folta chioma è sistemato nel riquadro centrale e in una cornice esterna sono sistemati vari stemmi e ghirlande (festoni) di foglie, fiori. E’ quindi possibile, ma non certo, che il lastrone di San Gavino fosse originariamente situato sul portone di ingresso di Castel Migliari a Montecarelli e salvato dalla distruzione dello stesso e portato quindi nella vicina Pieve di San Gavino a ricordo dei posteri. Purtroppo in tempi lontani, forse nel ‘700 al lastrone fu data una mano di colore, giallognalo, per adattarlo ai restauri della chiesa avvenuti in tale periodo. Sarebbe opportuno quindi un recupero, un restauro fatto a regola d’arte, poiché l’opera in questione riveste un’importanza storico-artistica veramente notevole.
Paolo Campidori
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