LETTERE D’AMORE FRA DINO CAMPANA E SIBILLA ALLERAMO

Sibilla, una “femminista” ante-litteram. Dino, un uomo, un poeta, discriminato nel proprio paese d’origine: Marradi.

Come l’assassino torna spesso sul luogo del delitto, così chi ama intensamente una cosa, una persona, una poesia, sente il richiamo del ritorno. Ammetto che il paragone è un po’ forzato poiché in questo caso l’assassino non c’è, anzi, proprio il contrario. Se d’assassinio si vuol parlare, dobbiamo parlare allora di uccisione di un amore, o meglio eutanasia di un rapporto amoroso, talmente intenso e breve che ha condotto un uomo alla pazzia. Mi riferisco a Sibilla Alleramo, giornalista, scrittrice, donna impegnata, anzi una delle prime femministe del secolo che ci ha preceduto, e, naturalmente, del poeta marradese Dino Campana. Di lui ci affascina la sua poesia, i suoi racconti, brevi ma intensi, che hanno la forza dei  nostri dipinti più famosi del periodo dei Macchiaioli, ma anche degli Impressionisti. Quando Campana ci descrive la città, le strade, le case, le terrazze, le balaustrate, le “cocottes”, subito pensi a Signorini a Lega a Fattori ma anche a Toulouse Lautrec a Manet e ai loro quadri che sono esposti nei maggiori musei del mondo. Ma chi era Sibilla Alleramo? Diciamo subito che il suo vero nome era Rina Faccio proveniente da una famiglia benestante del Nord Italia, caduta in disgrazia. Rina Faccio era di idee socialiste, e religiosa, anche se alla sua maniera. Era una donna di idee molto libere: ha vissuto storie d’amore con più amanti, senza per questo sentirsi minimamente in colpa. L’amore per lei valeva più di qualsiasi cosa e per questo, lei, donna fragile e raffinata, era pronta ad andare a cercarlo anche nei monti più sperduti dell’Appennino mugellano, nei pressi di Rifredo, di Casetta di Tiara, di Palazzuolo. In lei prevaleva il sentimento e non può essere considerata una donna di facili costumi. Dopo un attimo di titubanza e di scetticismo, decide di incontrare Dino, proprio su quei monti a lui tanto cari. L’amore che sboccia fra i due è stato raccontato ormai in moltissime pagine si storia letteraria: è stato un amore travolgente, passionale, talmente intenso che è finito in breve tempo, nel giro di un anno, ma in questo anno si è condensato tutto l’amore di una vita. Analizziamo ancora più da vicino Rina Faccio in arte Sibilla Alleramo. In una lettera a Campana Sibilla dice: “Caro Campana, sono vicina a San Francesco perché, nata signora, mi son spogliata via via di  molte cose, felice d’esser povera ignuda”. Questo “francescanesimo” di Sibilla ci aiuta a capire meglio anche le sue idee politiche. Essa, alla sua morte, lasciò in testamento tutto il suo archivio al Partito Comunista Italiano, che troverà poi posto presso L’Istituto di Studi Gramsciani. Dicevamo, Sibilla, è anche giornalista, ma, un po’ per modestia, un po’ per insicurezza di sé, non dà troppa importanza ai suoi articoli e a quello che scrive in genere. Sempre nella stessa lettera Sibilla dice: “Vi mando (a Campana, si rivolge ancora con il voi) qualche mio vecchio articolo: giornalismo, non altro....Volevate il mio ritratto, e invece vi mando delle parole, stampate!”. In realtà, in cuor suo, Sibilla dà un’importanza enorme a questi scritti che lei definisce “giornalismo, non altro”. E’ probabile che essa cerchi un modo di stimolare Campana, anch’egli poeta e letterato, a dare un giudizio sincero sui  suoi scritti. Campana risponde a Sibilla e la invita a raggiungerlo al Barco presso il Giogo di Scarperia (o di Firenzuola): “Qui, è la vera montagna, la vera campagna dei solitari....sarei felice se potessi farvi partecipe di questa mia ammirazione per questa linea severa e musicale degli Appennini....” Sibilla crede più nell’amore, nei rapporti interpersonali, che nei panorami, tanto cari a Dino. In una breve nota, verso la fine della storia d’amore, che Dino scrive a Cecchi da Casetta di Tiara, Sibilla telegraficamente verga di suo pugno la seguente nota, a fine pagina: “Tra i falchi, Sibilla”.  Ancora Sibilla che scrive in una lettera del 1916 a Dino:  “La solitudine ed io siamo buone compagne (è una bugia)...la malattia mi fa orrore, la mia santità non arriva fino ad accettare l’infermità...”. Nella lettera di risposta, Dino, che scrive in francese, un po’ per “sciccheria” e per ostentare la sua erudizione, ma un po’ anche per diffidenza postale, ci dice una cosa interessante: “Mia buona Sibilla.....Marradi è un paese dove ho troppo sofferto, e un po’ del mio sangue è rimasto incollato sulle rocce lassù in alto”. Allude all’incomprensione familiare, e a certi suoi concittadini marradesi che lo giudicano un po’ lo “scemo del villaggio”. Allude anche al trattamento di favore e di preferenza che i suoi genitori accordavano al fratello. Proprio questo atteggiamento gli causerà amarezza e forse gelosia e un senso di risentimento nei confronti dei genitori. Piano, piano, questa discriminazione farà di Campana un disadattato, fino a farlo diventare nevrotico. Questi saranno i prodromi di quella terribile malattia che lo porterà, prima, a girovagare come un “clochard” in Italia e all’estero, poi a morire, ormai dimenticato da tutti, nel manicomio di Castel Pulci. Quando “esplode” l’amore fra Dino e Sibilla, quest’ultima scrive: “I nostri corpi su le zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il cielo.....Dino, Dino! Ti amo. Ho visto i miei occhi stamane, c’è tutto il cupe bagliore del miracolo”. Ma Sibilla teme. Sente che questo amore sta per finire: “Non so, ho paura. E’ vero che mi hai detto amore?...Sono felice. Tremo per te, ma di me son sicura”. Ma il cielo si addensa di nubi. Già Campana, presago del suo avvenire, quasi un profeta scrive nella sua prima lettera a Sibilla: “Finita la guerra non esisterò più ammesso che esista ancora”. Qui c’è da tener conto, anche, che Dino voleva partecipare alla guerra come volontario, anche per dimostrare ai  suoi concittadini il suo valore  e riscattare così la pessima considerazione che godeva ad opera di alcuni nel suo paese: Marradi. Sibilla, in una lettera dell’agosto 1916, scrive a Dino: “Ho il terrore che tu non tu senta bene...Quei giorni sono stati troppo belli”. Ancora, in una lettera del 9 agosto 1916: “Saremo soli sulla terra, bruceremo....”  E Campana: “ Ti amo...Sibilla mia...piango e sorrido ti adoro”. Campana in una lettera del 17 agosto da Firenzuola, scrive a Sibilla: “Come amo la povertà delle  cose quassù che meglio ci farà sentire la nostra ricchezza” E, ancora: “Mi contento di poco come vedete. La felicità è fatta delle cose più leggere. In un delle ultime lettere Dino, apoteosi finale, Dino scrive a Sibilla: “Sono realmente ammalato....parto domattina per la Casetta (di Tiara ndr)...Ti porto come il mio ricordo di gloria....L’ultimo bacio dal tuo Dino che ti adora”.

Paolo Campidori
(Copyright P. Campidori)