LA BECA DA DICOMANO

Il celebre sonetto,vita e altre opere del “mugnaio mugellano” Luigi Pulci

Luigi Pulci nasce a Firenze nell’anno 1432, da una famiglia di origine francese. Ha la possibilità di coltivare gli studi grazie a un impiego di domestico o segretario presso la famiglia dei Castellani, amici dei Medici. Grazie a questo impiego, che tuttavia gli procura un magro guadagno, il Pulci riesce a coltivare gli studi, nonostante anche i dissesti economici cronici che affliggono la sua famiglia. Anche il maggiore dei fratelli, Luca, nato nel 1431, aveva composto un poema mitologico in ottave, il Driadeo d’amore e altri componimenti in rima. Morirà in prigione per debiti. Ma solo Luigi dimostrerà di possedere autentiche doti di fantasia e di impegno. Grazie all’amicizia con i Castellani, amici dei Medici, il Pulci diventa dal ’61 un assiduo frequentatore  di Casa Medici. Alla Corte Medicea, il poeta esercita una sorte di amabile magistero su Lorenzo che egli definisce con affetto il cucco suo e il suo compagnuzzo. Anche se il Pulci non fu mai un vero dipendente dei Medici, egli tuttavia, con il loro aiuto poté esercitare la propria mercatura a Firenze, a Foligno e a Napoli. In casa Medici egli godeva la simpatia e la protezione di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo, e di Clarice Orsini, moglie dello stesso. Fu la Tornabuoni stessa a incitare il Pulci, lui che era di origini francesi, a cantare in versi le gesta di Carlo Magno, proprio in vista di un programma di riavvicinamento di Firenze e della corte medicea alla Francia. Intanto Lorenzo cresceva, ascoltava le lezioni del Ficino e di altri dotti maestri. Il Pulci che non osava mettersi al pari di questi dotti, tuttavia era stato lui a insegnare a Lorenzo a scrivere versi. Da questa passione per la poesia e l’arte Lorenzo protesse e fece fiorire presso la sua Corte le lettere e le arti. Suoi sono i celebri poemetti: I Beoni, I Canti Carnacialeschi e celebre è il poemetto per La Nencia da Barberino, che, altro non è che un lamento d’amore di un certo Vallera per una giovane contadina mugellana. Dicevamo che se il Pulci non era un dotto, un uomo di studi, egli tuttavia aveva fatto le sue letture come poteva: conosceva bene Dante e Petrarca e altre opere, per lo più, testi volgari. Nelle sue composizioni non usava molto i latinismi o vocaboli rari, come pure termini del  cosiddetto “gergo furbesco”. La sua era una poesia comica e familiare. Nel Morgante, la sua opera principale, egli dimostra, non tanto la sua cultura enciclopedica, quanto la sua forza di scoperta e tutto il peso dell’esperienza burchiellesca, oltre la conoscenza della parlata del Mugello e del Valdarno. In Mugello, il Pulci, possedeva un mulino e a questo proposito scriveva: “...E la mia patria sarà dove lo staio della farina vagli pochi soldi; e dove s’infarinino i pesci e’ funghi secchi e le zucche, e non gli uomini....Io mi voglio intanare nel mio Mugello, e starvi tanto che voi non mi ricognosciate in Firenze....Io mi farò mugnaio; per certo io porterò in dosso un sacco a rovescio, et un burattello in capo, e dormirò nella madia....Ma la grande passione per il Pulci è stata sempre quella di scrivere sonetti. Questo era un modo per lui di partecipare agli eventi  fiorentini e del contado e alla vita familiare della Corte Medicea. Uno di questi sonetti fu composto in onore di una donna mugellana (da contrapporre all’altra mugellana Nencia da Barberino, composizione di Lorenzo il Magnifico) con il nome di Beca da Dicomano. Beca sarebbe il diminutivo di Domenica. In questo sonetto Pulci si lamenta per la celebrità della Nencia e nessuno si ricorda della sua Beca:

Ognun la Nencia tutta notte canta

e della Beca non se ne ragiona

..........

La Beca mia ch’è bella tutta quanta

Guardate ben come in sulla persona

Gli stanno ben le gambe, e par un fiore

Da fare altrui sollucherare il cuore.

Poi prosegue:

Tu sei più bianca che non è il bucato,

Più colorita che non è il colore,

Più sollazzevol che non è il mercato,

Più rigogliosa che lo ‘mperatore.

Cosa si potrebbe dire di più, oggi che siamo nel terzo Millennio, in onore delle donne dicomanesi?

Paolo Campidori
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