TITO CASINI ATTRAVERSO I SUOI SCRITTI E LE TESTIMONIANZE DEI PARENTI E AMICI
Tito Casini è sicuramente uno dei “grandi” del nostro Mugello. Dicendo Mugello intendo questa parola e nessun altra. Potevo usare la parola Alto Mugello o Romagna Toscana ma non l’ho fatto volutamente. Tito Casini è sicuramente nato e vissuto in quel lembo di territorio che oggi chiamiamo Alto Mugello, volendo indicare la “Romagna toscana”; però lui essendo nato e vissuto fra le borgate di Cornacchiaia, Faeto, Le Latre, ha “respirato” in senso figurativo, ma non solo, la brezza mugellana che, in un primo percorso, sale i monti di Sant’Agata e successivamente discende dal varco di quello che una volta si chiamava Osteria Bruciata. Questo passo nei tempi antichi era il trait-d’union fra Toscana e Romagna. Chi dunque meglio degli abitanti di questo bel paesino firenzuolese può aver respirato l’aria del Mugello e della Toscana? A conferma di quanto dico, il nostro scrittore fiorentino Papini chiamava il Casini il suo “segretario mugellano”. Ma cerchiamo di capire la personalità di questo grande scrittore attraverso le testimonianze di amici e parenti e anche attraverso i suoi scritti. Diciamo subito che Tito Casini nacque all’ombra della grande quercia, non inteso nel senso politico moderno. Si può tranquillamente dire che Casini ideologicamente apparteneva a quel grande partito che ha governato l’Italia per un cinquantennio, anche se la politica non lo entusiasmava affatto. Era contro le dittature di destra e di sinistra, ovvero avversava, lui uomo libero per eccellenza, tutte quelle idee che negavano la libertà e gli altri diritti civili. Era un cattolico convinto, molto tradizionalista, non approvava le aperture operate durante il concilio ai cattolici di sinistra e in particolar modo disapprovava la riforma liturgica con conseguente abolizione della lingua latina, da lui tanto amata. A parte queste sue idee che uno può condividere o meno il Casini era un poeta e cantore delle cose umili e semplici. E’ sempre viva in lui la nostalgia di quel mondo che sta per scomparire o perlomeno avverte i prodromi della imminente scomparsa. Ma chi era in effetti il “toscano” Tito Casini? Lo vediamo ritratto in una bella foto d’epoca, appena “sbozzolato” da Cornacchiaia, dice la didascalia, in compagnia di Papini, Nicola Lisi, Bargellini e altri scrittori meno noti, che scrivevano per una rivista cattolica chiamata il Frontespizio. Da buon cristiano non amava le divisioni, anzi su questo scrive: “divisioni allora non ce n’erano”. Il linguaggio dei suoi racconti è quello mugellano, con degli influssi romagnoli. Si potrebbe dire anche che la parlata di questa parte del firenzuolino è una via di mezzo fra il “balzarott” e il mugellano. E’ un linguaggio un po’ goffo, grottesco, come ad esempio “scorbacchiatura”, “alleghiscono i denti”. Nei racconti dei personaggi più umili il suo linguaggio si adegua diventando la parlata del “villan fottuto”. Usa dei vocaboli tutti particolari, forse parole mutuate dal parlare paesano. Si potrebbero fare degli esempi, ma sono numerosissimi. Alcuni di questi sembrano coniati dall’autore stesso. Era un patito della lingua latina. Amava i versi di Virgilio di Tacito, ma amava soprattutto la Bibbia nella versione latina. C’è un mondo interiore talmente grande dentro questo scrittore che sconfina di molto lo spazio angusto del paesino di nascita. La grandezza del Casini sta nella semplicità del racconto, della narrazione delle cose umili e semplici. Tutti dovrebbero leggere le opere di Casini. I suoi racconti sono una grande lezione di umiltà. Non ama il proprio lavoro di avvocato, anzi quella professione non l’ha mai fatta. Al codice penale preferisce “stare sull’aia con Virgilio” e prosegue “i cui esametri mi rimettevan lo stomaco dal barbaro latino delle Pandette”. Sostanzialmente è una persona buona: “la bontà ama la bontà, vuole la bontà, non c’è da rifarsela se dopo aver fatto per tutto l’anno i cattivi.....”. Ancora, bisogna essere buoni ma non ostentare questa bontà perché “la bontà ama nascondere le sue opere”. Ma cosa dicono di lui gli amici? Geroni Rino, nato a Cornacchiaia nel 1914, ora ha 88 anni, faceva parte del coro dei cantori di Cornacchiaia, di cui Casini faceva parte, anzi era un po’ il maestro. Il nostro coro dice Geroni veniva definito canto “a fermo”, una musica che si avvicina al gregoriano. Una volta andai da Casini e gli chiesi di insegnarmi il latino, poiché mi serviva per le funzioni religiose. Mi rispose che per imparare il latino ci vogliono 12 anni, allora rinunciai. Poi parla il nipote Ferdinando Casini, nato a Cornacchiaia nel 1929. Dello zio mi dice: “Non amava fare l’avvocato poiché bisognava difendere buoni e cattivi, e lui non aveva nessuna intenzione di difendere i cattivi. Il suo unico lavoro era quello di fare lo scrittore. Questo lavoro gli fruttava, sì, ma lui era un tipo che non voleva appartenere a nessuna parte, fazione, partito politico, non ha mai voluto chiedere un piacere a nessuno. Non era un opportunista. Aveva una ferita di guerra e non ha mai chiesto una pensione, insomma niente a nessuno.Durante la guerra fu anche preso e messo al muro e l’avrebbero fucilato se i nazisti non avessero scoperto chi aveva ucciso un ufficiale tedesco. Fu rilasciato all’ultimo momento. Era andato a stare a Sommaia, presso Calenzano, poiché la moglie insegnava in quel posto. Veniva per Natale, per Pasqua e l’estate dove ritrovava tutti i cugini. Con noi nipoti era scherzoso, ci teneva sempre in collo, era un tipo allegro. Lui era molto religioso, aveva un coro nel quale anche lui cantava. La parrocchia per lui era tutto. I suoi racconti corrispondono alla verità, sono fatti veri, realmente accaduti. Aveva un fratello sacerdote, non di questa parrocchia però. Il Concilio Vaticano che cambiò la liturgia fu molto avversata dallo zio. Quando il prete diceva la messa in italiano, lui rispondeva in latino. Gli piaceva tanto la cultura latina, ma amava anche Dante e gli altri grandi poeti italiani. A noi ragazzi, intorno al fuoco ci raccontava la Divina Commedia e le altre poesie epiche e non. Diceva: Quando la mora è nera, un canto per sera, quando è nera affatto, uno, due, tre, quattro. Significava che quando la mora è matura le serate sono più corte e quindi si faceva un solo canto, mentre nelle giornate di ottobre le serate erano più lunghe, ne faceva di più. Finita l’estate, a ottobre, andavano via poiché la moglie doveva andare a scuola a insegnare.Nel 1946, fu candidato “forzato” alle elezioni comunali, in quando la maggior parte delle persone erano analfabeti e nelle liste ci volevano persone istruite. I patti erano che lui anche se eletto non accettava. Difatti, rinunciò alla carica con un espediente: dichiarò che era analfabeta! Questo per dire che non amava cariche di nessun genere. La sua aspirazione maggiore era la libertà”. Concludo con una frase di un suo racconto: “Fermati, gettati in terra, rimani dove Dio t’ha posto, ama il tuo stato”. Questo era Tito Casini, e di lui se ne parlerà ancora molto.
Paolo Campidori
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