MEGLIO SE NUDA (LA CASTAGNA) 

Anche se il titolo può far incuriosire qualche lettore un po’ birboncello, voglio subito precisare che non intendo parlare di quegli argomenti tanto di moda oggi, che li ritrovi sui rotocalchi, alla tv, ecc. Niente di tutto ciò, cari amici. Io voglio parlare di una ghiottoneria sì, ma non esattamente quella. Spero non rimaniate delusi, voglio parlare della castagna (Penso che l’audience sia arrivata a zero!). E’ evidente, la castagna, come le grandi attrici o le grandi modelle, è migliore quando viene spogliata dal riccio, dalla buccia, insomma da tutte quelle strutture che la ricoprono. Non vi preoccupate troppo però, le castagne sono una cosa, e fortunatamente le attrici e le modelle sono un’altra: non hanno il riccio! Scherzi a parte, si potrebbe fare un’equazione: la castagna sta all’Alto Mugello, come il vino sta al Chianti; oppure la castagna sta a Palazzuolo, Firenzuola e Marradi come gli agrumi stanno alla Sicilia (sono in vena di esagerare un po’). Ma abbiamo detto tutto dicendo questo? Assolutamente no. Studiosi di fama, professori universitari hanno fatto sulla castagna studi qualificatissimi, tanto da definire un certo periodo del Medio Evo: la Civiltà della castagna. Ora se sia giusto tutto questo, non sta a me dirlo, anche perché non mi sono addentrato tanto con gli studi fino ad arrivare al Medioevo. Tuttavia gli esperti non sbagliano. Arrivati a un certo punto della civiltà (si fa per dire) le nostre campagne del Mugello e della Romagna Toscana (alias Alto Mugello) sono state invase ripetutamente da orde barbariche che hanno disseminato distruzione, saccheggio, rapine e omicidi dappertutto. La popolazione di conseguenza è stata costretta a scegliere luoghi più appartati e  sicuri per andare a vivere. E così ha scelto di spostare la propria casa, i propri armenti, la propria vita sui monti. Una specie di transumanza o alpeggio di massa. E cambiando ambiente, dalla pianura alla montagna, si cambiano anche le abitudini! Se nella pianura o nella collina era predominante la coltura del leccio e della querce per l’ingrasso dei maialini, salendo sui 600-1000 metri, in cima a cocuzzoli, la vegetazione e le colture in genere cambiano. L’uomo si adegua e inserisce nelle proprie abitudini di vita un nuovo tipo di coltura: quella del castagno che attecchisce bene a queste quote. Dico del castagno e non della castagna poiché l’albero, al pari del frutto, diventa il protagonista, la “star” per eccellenza per quelle popolazioni. Vediamo perché. Dal legno di castagno si ricavavano molti oggetti per l’uso di ogni giorno. Vogliamo fare qualche esempio? La “vassura”, una specie  di vassoio, tenuto a due mani, mediante la quale si “spulavamo” le granaglie; lo “staio” che era un contenitore e veniva usato come unità di misura; gli alveari rustici, per le api, che si ottenevano da un tronco di castagno svuotato, e sul quale si praticavano alcuni forellini per il passaggio delle api; i panchetti per mungere, anche questi si trovavano in tutte le stalle ed erano fatti in legno di castagno. Anche i contenitori di farina dolce erano dei semplici tronchi di castagno, svuotati all’interno. Questo per fare un esempio di come il legno di questo albero fosse utile. Ma adesso parliamo di lei, la castagna vera e propria. Si potrebbe fare un’altra equazione: la castagna stava all’alimentazione di quelle popolazioni come il pane e la carne stanno alla civiltà di oggigiorno. Mi ricordavano i miei vecchi, che allora, in quei monti della Romagna Toscana, di miseria ce n’era tanta, forse un po’ troppa. E allora, quando andavi a tavola,  spesso e volentieri, era polenta o “ pulenda” come la si vuol definire qui in Mugello. Se non era quella di formentone, ti ritrovavi scodellata una bella polenta di castagne dolci, che, parliamoci chiaro, per una volta la mangeresti anche volentieri, ma quando te la ritrovi oggi, domani, domani l’altro, accompagnata qualche volta con un ovetto (fresco s’intende), un pezzetto di caciotta o raramente con della carne di maiale salata.....Bé, insomma, la cosa non è poi molto allegra. Fortunatamente la farina di castagne, come pure quella di mais, è molto nutriente e questo serviva non solo a sfamare ma anche a far diventare grandi e grossi quei numerosi ragazzotti che circondavano la tavola. Queste castagne poi, grazie anche all’inventiva della massaia (“arsdora” per la Romagna) le potevi fare in vari modi e quindi non ti potevi lamentare se un giorno ti presentavano le castagne secche sotto forma di zuppa, bella fumante, un altro giorno sotto forma di castagne bollite, cioè le ballotte, un altro giorno ancora castagne messe sulla brace che diventavano bruciate. Poi nei giorni di festa, tanto per cambiare, con la farina dolce, di castagne, venivano fatti i tortelli: una vera sciccheria e che richiedeva anche una preparazione non indifferente. Però si trattava sempre di castagne! Quello che era un piatto di tutti i giorni col il mondo d’oggi la castagna è diventata una prelibatezza, una ghiottoneria, che attira folle di cittadini a Marradi a Pietramala a Palazzuolo. La puoi gustare sulla brace, in tenere e gustose frittelline, sotto forma di prelibati marrons glacés e a servirti, sempre negli stessi luoghi, sono proprio quei ragazzotti che di castagne ne hanno mangiate tante e poi tante che ora non ne vogliono neppur sentir parlare.

Paolo Campidori
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