DONATO DONATINI: UN POETA E UN “ARCHIMEDE PITAGORICO” DI PALAZZUOLO SUL SENIO

Donatini si può definire l’Archimede pitagorico dell’Alto Mugello ed è vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento. Poeta, autore di “Stramberie poetiche”, ancora inedite (esiste una raccolta dattiloscritta curata dai figli Ivo, Elvio, Vasco e Giannina), a volte fin troppo pungenti e satire pervase del più genuino umorismo.Nasce nel 1878 da Carlo Donatini e Elisabetta Barbarassi a Palazzuolo.  Studente salesiano presso l’Immacolata a Firenze, non porta a termine gli studi poiché insofferente alla disciplina del collegio. Fugge per i monti del Mugello e dell’Alto Mugello, un po’ come farà in seguito il poeta Dino Campana. Il bosco, le montagne aguzze e aspre, ispirano a Donatini, ciò che egli diventerà in futuro. Pensa ai suoi marchingegni da tradurre in realtà e alla condotta di vita che di lì a poco dovrà sostenere. La sua “verve” poetica è prorompente. Quante poesie scaturiranno da quel vulcano in ebollizione che è il suo cervello! Ma intanto bisogna che Donatini trovi il modo di guadagnarsi la vita, magari con un lavoro a lui congeniale. Non gli piace oziare, ciò contrasta fortemente con il suo carattere. Decide di aprire una bottega di fabbro nel suo paese nel quale svolgerà anche il lavoro di armaiolo. Donatini aveva già appreso quest’arte, perché di arte si tratta, in quanto era stato allievo di Modesto Tagliaferri a Casaglia presso Borgo San Lorenzo. Donatini è anche e, direi soprattutto, inventore di marchingegni e di attrezzi tecnologici,  per quel tempo avanzatissimi, un vero e proprio Archimede.  Fra le sue invenzioni più importanti annoveriamo il maglio con carico  a balestra. Non è un caso che il  nostro inventore abbia utilizzato un congegno così antico quale la balestra in un luogo che vanta memorie medievali notevoli. Basti pensare alle rievocazioni medievali che si tengono ogni anno. Questo attrezzo è nato dall’esigenza, a seguito del terremoto del 1919, anno in cui la zona dell’Appennino tosco-romagnolo fu colpita duramente  e molti edifici andarono distrutti e lesionati gravemente. A seguito di ciò, nacque la necessità di costruire delle catene (chiavarde-tiranti) per ancorare i muri delle case danneggiate. Questo attrezzo, che in un certo senso sostituisce il pesante martello del fabbro, è capace di dare, sul ferro rovente, dei colpi più potenti e veloci, che permettono la saldatura, ad esempio, di occhielli di ferro a delle barre, in maniera più sicura e duratura nel tempo, sfruttando appunto questa velocità di esecuzione del lavoro nel momento in cui il ferro è allo stato di fusione. Non era una invenzione da poco. Quest’attrezzo è tutt’oggi largamente usato, naturalmente usando macchine e sistemi più meccanizzati. Ma il nostro Donatini era anche “patito” cacciatore e un amante dei fucili da caccia. Durante la stagione venatoria chiudeva bottega e appendeva sull’uscio un cartello: “CHIUSO PER CACCIA”. Donatini era anche l’unico palazzuolese che durante il periodo fascista, quando arrivava il 1° maggio, chiudeva il negozio e apponeva la scritta: “VIVA IL PRIMO MAGGIO FESTA DEI LAVORATORI”. Poi, si vestiva a festa, si metteva un garofano rosso all’occhiello, e noncurante del difficile periodo politico, andava a passeggiare per il paese, e a tutti quelli che incontrava diceva: “SONO ROSSO MA NON RUSSO”. Ma a Palazzuolo e fuori paese egli era conosciuto soprattutto per la sua poesia estemporanea, e per questo, veniva invitato a ogni festa per declamare le sue poesie ed era benvoluto e capito da tutti. In una di queste declamò: “Per far un brindisi agli sposini, centi kilometri fé Donatini”. Doveva essere un personaggio veramente simpatico, questo lo si può notare  anche guardando un suo ritratto dove sfoggia una giacca da cacciatore e al collo ha una pezzuola annodata alla garibaldina, come usava portare a quei tempi, e  sempre con quel suo sorrisino, di chi la sa lunga in fatto di umorismo e di furbizia. Donatini, per venire incontro agli agricoltori, aveva inventato una trebbiatrice smontabile. Questa si era resa necessaria poiché le vecchie trebbiatrici erano troppo alte e  pesanti, e , date le strade sconnesse e in salita, di quei monti, spesse volte, neppure i buoi più vigorosi riuscivano a trainarle e spesso capitava che ribaltassero. La trebbiatrice di Donatini, essendo smontabile in più pezzi la si poteva trasportare agilmente e ricomporre in pochi minuti. Non era una invenzione da poco! Oltre a questo Donatini aveva inventato altri mille marchingegni, tanto per citarne qualcuno: la trasformazione di un tornio parallelo  in una macchina utensile universale capace di eseguire molteplici operazioni; un fucile a retrocarica a forma di bastone, per la difesa personale; il marchingegno per fare le doppiette al capanno azionando due fucili con una sola persona, ecc. Oltre a ciò, Donatini che era anche un abile fabbro, egli eseguì la cancellata nella Cappella Votiva, su disegno dell’artista Tito Chini di Borgo San Lorenzo. Molte sono le invenzioni di questo simpatico palazzuolese che visse fino all’età di 74 anni. Tuttavia, prima di morire ebbe la forza di dire la sua ultima poesia:

“E’ una grande fatica stare a letto

specie per chi non fu giammai poltrone

e dire che ci sono tante persone

che ci stanno dì e notte per diletto”.

Paolo Campidori
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