EBBREZZA” DA MUSEO
 

Alcune considerazioni sui musei mugellani
 

Musei, pinacoteche, gallerie d’arte, raccolte pubbliche e private, musei grandi, musei piccoli, musei diffusi, tutte parole che, in fin dei conti, hanno lo stesso significato di togliere l’opera d’arte dal suo contesto originario per porla in raccolte d’arte. sistematicamente suddivise per autori, per correnti artistiche, per periodi storici, ecc. Oggi “museizzare” è diventato di moda. Non c’è paese, anche il più piccolo, che non possieda il suo museo, bello o brutto che sia, interessante o meno interessante. Oggi fare museo è anche diventato un grande “business”, oltreché una grossa operazione culturale. Grandi flussi di danaro arrivano dalla Comunità Europea, dal Ministero, dalle Soprintendenze (che avallano operazioni culturali spesso discutibili), dalle Regioni, dalle Provincie, dai privati cittadini ai Comuni che li gestiscono (spesso male), in un settore, dove una volta, nessuno avrebbe investito. Oggi, vuoi per il turismo sempre crescente, vuoi per motivi politici e d’immagine, tutti si prodigano, volontariato o meno, in questo “boom” delle raccolte artistiche. Tutto ciò, naturalmente, è una cosa lodevole: è bello che i Comuni, le Curie Arcivescovili, ecc. sottraggano i loro tesori d’arte all’azione distruttiva dei ladri, del commercio antiquario poco serio, all’esportazione clandestina delle stesse. Però museo non è sempre sinonimo di bellezza, di positività, ecc. Ci sono in giro dei musei che quando li visiti, al massimo, riescono a darti un forte stimolo intestinale. Non mi riferisco solo ai musei locali, parlo anche dei grandi musei (talvolta statali). Allora, come diceva un proverbio,  i musei sono veramente gli “obitori del bello” o il “bello degli obitori”, che dir si voglia?  Ma davvero il museo è il raggiungimento massimo per un’opera d’arte? Io, che nei musei, nelle pinacoteche, nelle Soprintendenze, vi ho trascorso quasi una vita non ne sono abbastanza convinto. A me, certe volte, i musei, nella loro freddezza, nel loro modo di esporre le opere d’arte in maniera sistematica e noiosa, mi fanno venire, come si dice, il “latte ai ginocchi”, oppure mi fanno venire in mente gli zoo, dove gli animali se ne stanno rinchiusi dentro le gabbie, sonnacchiosi, annoiati, che ti guardano con quell’aria mesta che sembrano dirti: “Hai mai provato a metterti dalla nostra parte? Vuoi venire tu, visitatore, a provare come si sta in queste gabbie?” Però, tante persone, dicono che anche gli zoo sono utili, poiché, questo permette di salvare tante specie in pericolo di estinzione. Proprio come le opere d’arte? Per salvarle dal pericolo di estinzione, le sistemiamo nei musei, dove spesse volte entrano nell’anonimato  più assoluto, e spesso, anche in condizioni di conservazione tutt’altro che favorevoli. I grandi artisti di una volta, le grandi botteghe, erano orgogliosi che le loro opere venissero destinate a luoghi e sedi importanti. Questi grandi artisti ambivano che le loro opere continuassero a “vibrare”,  a “vivere” come quando l’opera si formava nelle loro mani. E queste opere potevano “vivere” solo se esse venivano poste nei luoghi dove erano state destinate: chiese, palazzi, arredi, ecc. Si facevano addirittura dei concorsi, ai quali partecipavano artisti importantissimi: si pensi alle porte del Battistero “il bel San Giovanni” al quale hanno partceipato Brunelleschi, Ghiberti, ecc. Se a un grande artista del Rinascimento, poniamo, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Masaccio gli avessero potuto chiedere, una volta finito il capolavoro: “Lo sai che la tua opera, che è destinata al palazzo tale, alla chiesa tale, un giorno andrà a finire nell’anonimato di qualche museo, dove in un cartellino di pochi centimetri, verrà schedata e messo il tuo nome e cognome? Forse sarebbero stati contenti? No, di certo. L’opera destinata al culto di una determinata chiesa, o una scultura destinata ad abbellire un palazzo signorile, avrebbe dovuto mantenere questa destinazione e non  altre. Essi non avrebbero certamente dato il meglio del loro talento se avessero pensato che le loro opere, in un giorno lontano, avessero preso il triste cammino del “ricovero”, nella mestizia di un museo, o peggio ancora in un deposito o in uno scantinato di chissà quale palazzo. Essi sicuramente non avrebbero nemmeno gradito lo sguardo frettoloso di migliaia e migliaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo, alcuni dei quali sottoposti a dei veri e propri “tour de force”, come dei veri e propri “stakanovisti” dei viaggi organizzati. Questi “turisti”, spesso, in un solo giorno, visitano due o tre città d’arte, una mezza dozzina di musei, alcune chiese e monumenti e ai quali resta anche il tempo di fare un po’ di “shopping” e mangiare qualche panino o un gelato sotto una torre o all’ombra di un campanile della città. Lo chiamano turismo “mordi e fuggi”, io lo chiamerei turismo per deficienti mentali. Purtroppo, e se dico purtroppo, spiegherò anche il perché, anche il Mugello si è lasciato contagiare da questo miraggio del turismo a “tutti i costi”, tanto di moda oggi, e di conseguenza si è lasciato investire dalla moda del “museizzare” le opere d’arte e creare musei a ritmo vertiginoso e di primato. Purtroppo, qui le cose vanno peggio che altrove. Qui si registra una vera e propria “ebbrezza da museo” e da miraggio turistico. E siccome, i mugellani sono campanilisti, si è cercato di creare un museo per ogni singolo paesino. Ci mancava poco che anche Rabatta avesse il suo museo (mi scusino gli abitanti di Rabatta). E allora, in un territorio, vasto come si vuole, come il Mugello e l’Alto Mugello, si creano una dozzina di musei locali, di realtà museali alle quali si dà il nome di Museo Diffuso, nel senso che diverse sono le raccolte museali e unica è l’istituzione. Una trovata ingegnosa che accontenta tutti: amministratori locali e cittadini. Non credo che si debba ragionare così: una piccola raccolta qua, una raccolta là, una raccolta più grande nel Capoluogo del Mugello. Si è di fronte a una vera e propria “proliferazione” che non trova una giustificazione razionale in nessuna maniera. Purtroppo, questa lista di musei è destinata ad aumentare: ho sentito parlare di un nuovo museo a Firenzuola, di un nuovo museo nel Mugello orientale che dovrebbe ospitare l’archeologia. E, forse, verrà fuori anche il museo di Tagliaferro, di Fontebuona, di Casaglia, ecc. Demagogia? Chissà! Alla fine si crea solo della confusione, tanto che qualcuno parla, a ragione, di Museo Confuso. A conferma di ciò, se non erro, la civiltà contadina la trovi a Erci, a Palazzuolo, a Bruscoli, a Sant’Agata; l’archeologia la trovi a Sant’Agata, a Palzzuolo (poi anche a Dicomano); l’arte sacra a Sant’Agata, a Vicchio,ecc, ecc: E poi c’è il Museo di Moscheta, chiamato, mi sembra, il museo del paesaggio dell’Appennino, sistemato nella gloriosa e secolare abbazia vallombrosana e che invece di documentare la storia e la vita della stessa nei secoli, raccoglie e cataloga le “cacchette” di volpi, lupi, marmotte, ecc. Ma si può ragionare così? Molti dicono, ed io sono d’accordo con loro, che per quanto riguarda la realtà del Mugello e dell’Alto Mugello, sarebbero stati sufficienti due grandi musei, uno in Mugello, l’altro nell’Alto Mugello.  Un museo diffuso, concepito nella maniera attuale rischierà di diventare, come qualcuno afferma, un “Museo Disperso” e questo non gioverà né alle opere d’arte, né alla cultura e nemmeno al turismo, né alla gestione degli stessi che col tempo diventerà impossibile. Ora io vorrei precisare che non sono un nemico giurato dei musei, anzi. Voglio solo dire che, per quanto riguarda le realtà locali, si dovrebbe dare più impulso ad altre forme di tutela e valorizzazione delle opere d’arte, ad esempio mostre temporanee o permanenti, ecc. nelle quali la collocazione delle opere non è definitiva e l’opera d’arte svolge ancora quel  ruolo “vivo” che le compete. Questo è come la penso io, che non sono né un “esimio storico dell’arte”, né un “sedicente critico d’arte”, come qualcuno mi ha definito. Non sono neppure un “abile artigliere” che si diverte a “bombardare i poveri musei mugellani”. Non sono neppure un “delegato” da Enti, quali Soprintendenze, ecc. Sono un semplice cittadino che ama la propria terra, nella quale è nato, che è il Mugello, e che ama i suoi abitanti. Un cittadino che, sapendo di andare “controcorrente” esprime le proprie opinioni con verità e coraggio, a tutto vantaggio del Mugello e dei suoi abitanti. Se poi sbaglio “corriggitemi”, come disse uno che sta in alto, molto più in alto di me.


Paolo Campidori
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