Non si può dire che Francesco avesse rinunciato alle ricchezze, è più giusto dire che egli aveva rinunciato “a tutto”. Ma non per questo egli si sentiva povero, ce lo dimostra il Cantico delle Creature, egli era l’uomo più ricco del mondo perché “possedeva” pienamente, completamente le “creature” del Signore che sono l’aria, il vento, l’acqua, il sole, la luna, il fuoco. Per capire San Francesco bisogna immedesimarsi nella povertà della sua vita. Camminava scalzo, anche con il ghiaccio e la neve, negli inverni più rigidi, elemosinava il mangiare, aveva un saio tutto rattoppato (chi si vuol rendere conto di questo vada alla Verna a vedere i cimeli del Santo custoditi nella chiesa). Ma non per questo era triste, anzi, era allegro: cantava le lodi del Signore, ballava, tanta era la sua contentezza di creatura “piccolissima” del Signore. Il Santo si considerava un “pianticella” del Signore, e anche Chiara definiva San Francesco così. Ma San Francesco non era solo il “poverello” del Signore, egli era anche l’umile “pecorella” del Signore. Mi piace ricordare nei Fioretti quando Francesco tornando e camminando a piedi scalzi da Perugia a Santa Maria degli Agnoli (Angeli) “tormentato dal freddo e dalla piova”, stanco e affamato, ad un tratto si rivolge a Frate Lione, che lo accompagnava, chiedendogli quale fosse la cosa più degna e più grande per un poverello del suo Ordine. Non certo – dice San Francesco – saper parlare tutte le lingue del mondo, non certo la sapienza, o mille altre cose. Allora Lione, cortesemente ma decisamente vuole sapere dal Santo dove stia la vera grandezza per un monaco del suo Ordine. La risposta di Francesco è che l’uomo o il monaco è veramente grande quando sopporta, con pazienza, sciagure, offese, dolore fisico e spirituale e perfino il martirio, unicamente per amore di Cristo. Qui sta la risposta di Francesco a tutti coloro che si chiedono e non capiscono, soprattutto nel mondo di oggi, il perché del male nel mondo. E Francesco fa l’esempio che, una volta arrivati a Santa Maria degli Agnoli, bagnati dalla “piova”, infreddoliti dalla neve, stanchi e affamati dal grande viaggio, il portinaio del convento, vedendoli arrivare, finga di non riconoscerli, li respinga brutalmente e li lasci per tutta la notte al freddo e al gelo. Non solo, ma indispettito dalle richieste insistenti dei frati di lasciarli entrare nel convento, poiché facenti parte di quella famiglia, il portinaio esca con un randello e li colpisca “ad nodo ad nodo”, lasciandoli sanguinanti e tramortiti sulla neve. “Ecco – replica il Santo – se noi sapremo sopportare tutte queste ingiustizie per amore di Dio, qui sta la vera grandezza”. San Francesco, dunque, aveva rinunciato a ricchezze “effimere”, viveva la sua povertà in modo totale. Proprio per questa ragione egli possedeva totalmente tutte le ricchezze della natura che sono nell’universo. Anzi, lui era tutt’uno con la natura: la terra che fa germogliare le messi, i fiori che sbocciano spontanei nei prati, i fiumi che scendono fragorosi nelle gole delle montagne, il fuoco che lo risparmia dal gelo invernale, il cielo stellato (immaginiamoci come doveva apparire a San Francesco!) con le stelline “clarite et belle”, come gemme, e, infine, gli animali verso i quali nutre un amore e una simpatia particolare, anzi fratellanza. Fratello lupo, sorelle tortore. Francesco, come creature del Signore, predica loro la parola del Signore e queste ricambiano amore e riconoscenza a San Francesco. Tutto quello che Dio ha creato è meritevole dell’amore dell’uomo e di San Francesco. Anche i lebbrosi meritano amore e Francesco bacia uno di questi e capisce che la vera gioia è l’amore verso il prossimo, in modo particolare verso il prossimo bisognoso. Il creato è l’espressione più diretta di Dio. Così fratello sole, che riscalda e illumina la terra e permette alle creature di esistere. Francesco ripete fino all’ebbrezza completa: Che tu sia lodato Signore...Che tu sia lodato Signore. Francesco non ama solo la natura, è in contatto continuo con il Signore, prega in continuazione. Questo rapporto così stretto con il Creatore è la sua vera “ricchezza”. Egli non brama altro, se non una vita di povertà assoluta. E Chiara, “pianticella” di San Francesco ribadisce: “nella lotta un uomo vestito (un ricco) non può competere con un uomo nudo (il povero), in quanto quest’ultimo non avendo appigli da offrire all’avversario, non cadrà a terra”. Un bel concetto per definire che le ricchezze della vita sono un grosso ostacolo per colui che vuole intraprendere una lotta spirituale e arrivare a Dio. Anche Gesù nel Vangelo, al giovane e giusto ricco, aveva detto che se avesse voluto raggiungere la “perfezione”, avrebbe dovuto vendere le sue ricchezze e distribuirle ai poveri. Conseguentemente il giovane se ne era andato “rattristato”. La lotta di cui accenna Chiara è anche e soprattutto la lotta contro il demonio, contro i vizi, contro il peccato. Francesco, dal canto suo, non è distratto da niente. Mi viene in mente il film di Zeffirelli “Fratello sole e sorella luna” quando San Francesco e San Bernardo sono intenti nella ricostruzione della chiesetta di San Damiano, momento in cui sembrano talmente assorti nell’opera del Signore quasi da apparire, come di direbbe oggi, “poco normali”. Ma Francesco tira dritto per la sua strada, neppure la morte lo impaurisce. Anzi, per lui la morte è “sorella morte”, una cosa, essa stessa, del creato, come tutti gli altri elementi della natura. Francesco ha, invece, molta paura della morte “seconda”, cioè della morte spirituale, della morte dell’anima. A sera, Francesco, stanco della giornata, dei lunghi viaggi percorsi a piedi nudi, stanco delle veglie, delle interminabili preghiere, si addormenta sulla nuda roccia, con unica “coperta” il suo saio bigio tutto strappato e rattoppato. Alla Verna, dove Francesco ha ricevuto le stimmate, è visibile in un antro, fra le rocce, il giaciglio di pietra dove dormiva il Santo. Questo mio piccolo “apporto” al Santo poverello è un invito ai mugellani ad andare a riscoprire i luoghi francescani, come la chiesa di San Francesco a Borgo San Lorenzo. In questa città del Mugello, tra l’altro, San Francesco c’è sicuramente stato ed ha predicato, cantato e ballato alla popolazione di Borgo “su la piazza del castello”, e a tutte le altre persone che erano accorse da tutte le altri parti del Mugello per vedere San Francesco. Il Santo non li deludeva mai, quando parlava con il suo accento umbro, sprizzava allegria da tutti i pori, era difficile non rimanere contagiati da questo “piccolo-grande uomo”, vestito di stracci, scalzo, ma con una forza interiore irresistibile. Questa chiesa e convento, donata dagli Ubaldini al Santo, era divenuta talmente famosa, tanto da essere munificata dagli stessi Ubaldini e dai Portinari, della qual famiglia apparteneva Beatrice di Dante. Recentemente, questo Convento, è stato restaurato ed ha ospitato un concerto di un famoso pianista. Su questo punto io debbo muovere un appunto. Non mi sembra opportuno in un luogo così carico di spiritualità, tradizioni, ospitare un evento di mondanità, e questo vale, secondo il mio giudizio, per tutte le chiese, anche quelle sconsacrate. Ormai le chiese sono diventate musei, luoghi dove si fanno i concerti, convegni, cerimonie accompagnate da applausi scroscianti e da atteggiamenti che hanno poco a vedere con la religiosità dei luoghi. Ma “revenons à nos moutons”, dicono i francesi, (torniamo all’argomento). C’è, poi, il Convento di Bosco ai Frati. Io ho parlato recentemente di questo convento e ho riportato un’intervista con il Padre Superiore, che mi sembra sia stata accolta favorevolmente dai lettori del Galletto. Questa chiesa è un’opera straordinaria, anche sotto il profilo artistico, un vero gioiello del Mugello, su disegno del grande architetto fiorentino Michelozzo, che lavorava per i Medici. Questo Convento, anche per le straordinarie opere d’arte al suo interno, merita veramente una visita, anche perché qui, specialmente nel suo chiostro, si respira un’aria veramente particolare e il luogo ispira una religiosità intensa. Qui, proprio i n questo chiostro, San Bonaventura da Bagnoregio, ricevette la porpora e il cappello cardinalizio da un messo del Papa, ma essendo il Santo impegnato nell’orazione, lo fece appendere a un albero, un corniolo. Come dire: prima viene l’Ufficio Divino, poi tutte le altre cose.
Paolo Campidori
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