“LEGGIAMO” UN MANOSCRITTO ORIGINALE DEL 1400

Vicariato del Podere Fiorentino (Palazzuolo, Susinana, Piedimonte 1406-1615)

E’ stata veramente una “avventura” affascinante quella di aver frequentato l’Archivio di Stato di Firenze per un periodo di tempo abbastanza lungo. Io conoscevo l’Archivio ancora quando era collocato al Palazzo degli Uffizi al piano terreno, ed ebbi modo di frequentarlo in occasione di un evento tragico: l’alluvione di Firenze. A quei tempi io prestavo servizio presso la Soprintendenza Beni Artistici, vale a dire al piano superiore e già da allora si parlava di un probabile trasferimento in altra sede, viste anche le ristrettezze dell’ambiente ormai diventate inidonee per l’Archivio, e considerate anche le mire “espansionistiche” della Galleria degli Uffizi che ambiva a diventare con in famoso progetto “Grandi Uffizi”, la galleria più grande (e importante) del mondo. Ebbi modo allora di visitare le grandi sale a pianterreno, letteralmente “stipate” di volumi, codici, documenti di ogni genere, e rimasi esterrefatto dall’abbondanza di questi documenti. Se si pensa alla storia che studiamo (e qui ci vorrebbe un punto interrogativo) nelle scuole, viene veramente da ridere. Dalla storia che si insegna nelle scuole noi veniamo a conoscenza di una piccola parte di storia che riguarda l’Italia dalle origini fino agli ultimi tragici eventi del Fascismo. Tuttavia bisogna tener conto che quella che ci viene insegnata è storia per così dire “ufficiale”, un excursus storico dalle Alpi alla Sicilia, uniforme, e che non tiene conto di quella diversità storica cui sono state soggette nei tempi le nostre “regioni “ italiane. Basta pensare alla nostra Toscana del Medioevo, divisa in Feudi, Contee, ecc, e alla stessa al tempo dei Comuni: basta ricordare Firenze, Siena, Pisa, Lucca ecc.; alla Repubblica, alla Signoria medicea, al Granducato toscano, al governo austriaco dei Lorena, al Governo Francese, etc. etc. Ogni Regione italiana ha avuto le sue vicissitudini, molto, molto diverse dalla realtà toscana. Diventa dunque difficile parlare di storia nazionale, uniformando il tutto e tutti in un “unico” libro di testo valido dal Piemonte alla punta estrema della Sicilia. E allora nei libri di testo impari la storia delle grandi guerre: le guerre dei romani, le invasioni barbariche e le relative battaglie, i Franchi, le guerre delle investiture. In poche parole la storia equivale a storia delle guerre. Ma la realtà non è questa. Se si pensa che in un Archivio importante come quello di Firenze è concentrata la storia, ma la vera storia, di Firenze e della Toscana e per contenere tutti questi documenti non bastano chilometri di scaffalature, ti rendi conto dell’enormità e della complessità della materia storica. Ma non esiste solo Firenze: Siena ha il proprio archivio, e così lo hanno pure tutte le altre città toscane, ognuna di queste specializzata nella storia del proprio territorio. Ma non è finita qui poiché anche i comuni più piccoli hanno propri archivi. In Mugello non esiste Comune che non abbia un proprio archivio, talora importante, come Borgo San Lorenzo, Scarperia, Vicchio, Dicomano, ecc. Siamo arrivati al nocciolo della questione. Quanta storia del proprio territorio viene insegnata ai giovani delle scuole? Anche ammettendo che in questi ultimi tempi si faccia abbastanza per far conoscere la storia del territorio mugellano, si veda ad esempio l’istituzione di musei che trattano di archeologia, arte, artigianato, costume; pur tuttavia bisogna riconoscere che tutto ciò non è sufficiente. Anche se si sono realizzate, con grandi sacrifici, istituzioni  museali, percorsi archeologici, manifestazioni culturali popolari, la diffusione di libri d’arte o di cultura in genere, (spesso ad opera di privati cittadini), bisogna dire che queste istituzioni, anche se condotte da volontari, spesso hanno il fine del lucro. E questo mi dispiace molto dirlo. Mi sono trovato in alcuni dei musei “diffusi” di fronte alla sorpresa di dover sostenere un biglietto d’ingresso talvolta “sostenuto”. Dico questo non per tirchieria, ma per il semplice motivo che sono stato sempre contrario a far pagare “cara” la cultura. Questo io lo sostenevo anche quando ero agli Uffizi. Mi controbattevano dicendo che se non si fosse fatto pagare il biglietto d’ingresso un poco salato, la Galleria si sarebbe riempita di “barboni” o pensionati che sarebbero venuti in quel posto unicamente per riscaldarsi. Trovo giusto che per la cultura si paghi qualcosa, ma che questa non debba diventare una tassa esosa o uno dei tanti balzelli tanto di moda in questo periodo. Forse, per limitare in certi musei l’enorme affluenza, sarebbe più giusto istituire un numero chiuso. Aberrante, a dir poco, è invece la tassa d’ingresso che si paga per entrare nelle chiese. Se dobbiamo pagare cara la cultura, quanto si dovrebbe pagare per entrare nell’Archivio di Stato di Firenze, dove la cultura, letteralmente, strabocca. E si tratta di cultura vera, non “ufficiale” come quella che studi sui libri di testo. Pergamene, incunaboli, manoscritti del Tre e Quattrocento, i primi libri stampati a Firenze, a Venezia, una raccolta incredibile di documenti notarili a cominciare dal Mille, tutto questo lo trovi all’Archivio. E’ vero, è difficile districarsi in questa selva di cultura, ma, è anche vero che il materiale a disposizione è così cospicuo e interessante che ti ripaga da qualsiasi fatica. Io consiglierei non solo a chi ha interessi di studio di recarsi almeno una volta all’Archivio di Stato di Firenze, proporrei questa esperienza a ogni singolo cittadino. In particolare gli studenti, già dalla tenera età dovrebbero rendersi conto di queste realtà, parlo anche degli Archivi comunali cosiddetti “minori”. Ma non voglio terminare questo articolo senza prima aver cercato di “leggere” un manoscritto dei primi anni del ‘400 relativo agli statuti di Palazzuolo. Si tratta di un volume rilegato e restaurato nel 1976. Questo libro contiene documenti che vanno dal 1406 al 1615. E’ rilegato in mezza pelle, secondo la maniera antica, vale a dire con la cucitura eseguita su “nervetti” (strisce di cuoio), i quali sono uniti alle tavole del libro per mezzo di fori. Le tavole sono in legno stagionato e sono ricoperte per circa la metà, come pure il dorso, da cuoio marrone. I “nervetti” compresi quelli alle estremità del dorso sono sei. Aprendo il libro, sulla tavola interna si notano tre etichette. Quella centrale indica la segnatura, cioè il titolo del libro e la sua collocazione, quella superiore indica il lavoro di restauro eseguito. In questo caso il manoscritto, ha subito un lavaggio in acqua e Lissapol, seguito da una deacidificazione con il metodo Barrow. La pagine sono state successivamente trattate con Glutofix, che è una sostanza collante e gli strappi e le lacune sono state colmate con l’ausilio di metilcellulosa. Il manoscritto è stato poi ricucito usando refe di lino. Il volume-manoscritto si compone di quattro libri riuniti insieme, scritti a penna con inchiostro di colore seppia. La carta antica è stata fabbricata da stracci di cotone ed è vergata e filigranata. Il disegno della filigrana è composto da tre cerchi con croce sottostante, oppure da tre cerchi con elsa di spada soprastante. Gli statuti di Palazzuolo comprendono un frontespizio scritto a penna e quattro libri che trattano: il primo di norme di carattere generale e statutario quale: “il giuramento del vicario, del salario da corrispondersi allo stesso, del modo di radunare i popoli del Vicariato del Podere (così era chiamato Palazzuolo), della pena di chi manca al consiglio”. Il secondo libro tratta: “della proprietà e del possesso dei beni, delle eredità, delle doti maritali, ecc”. Il terzo libro detta norme in materia di ordine pubblico che vanno da: “Del modo di punire i malefizi,  della pena di chi assalisce con fatti e parole, della pena di chi gioca a dadi, della pena di chi spergiura, della pena del figliolo che non obbedisce al padre, della pena di chi non vada a spegnere il fuoco, della pena di colui che fa rumore presso la Chiesa, in tempo che si celebrano i Divini Uffizi, ecc. ecc.” Il quarto e ultimo libro tratta norme varie ad es.: “De beccaj (i macellai),  della pena di chi ingombra il mercatale di Palazzuolo, della pena di chi entra in casa altrui, ecc”.

Spero di aver acceso abbastanza la curiosità del gentile lettore e spero che questi si rechi all’Archivio di Stato di Firenze per esaminare di persona il manoscritto e possibilmente studiarlo in ogni minimo particolare. Per facilitarlo lo informo sulla sua collocazione e cioè: Statuti delle Comunità Autonome e Soggette, Vicariato del Podere Fiorentino, Pezzo 624.

Paolo Campidori
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