IL “MAGNIFICO” MAGHINARDO DA SUSINANA, AMICO DEI FIORENTINI

Maghinardo Pagano da Susinana, alla sua morte avvenuta nel 1302, era senz’altro l’uomo più importante della Romagna Toscana, di Imola, Faenza, Forlì e anche del Mugello. Si può benissimo dire che Maghinardo rappresenta per il tardo Medioevo, quello che più tardi, nel Rinascimento rappresentò Lorenzo il Magnifico. Unica differenza che lo contraddistingue è che Maghinardo, oltre a essere un eccellente politico, come lo era Lorenzo, era anche un valoroso condottiero. Ma molti sono i punti in comune  fra i due grandi personaggi: una politica equilibrata, una forte appartenenza al popolo (lo si deduce soprattrutto dal testamento), che tuttavia veniva governato sotto la forma della tirannia; la tendenza a “lavorare” e tramare per far diventare la propria casata sempre più importante, un manovrare la politica e un far giochi di potere che gli tornassero sempre vantaggiosi; una politica saggia di alleanze e buoni rapporti, anche con la Chiesa e con le potenti città vicine; un’abile diplomazia nel combinare matrimoni con famiglie potenti, ecc. Un uomo davvero straordinario. Anche se Dante Alighieri non era dello stesso parere su Maghinardo, tanto da apostrofarlo con versi ignominosi: “Il lioncel dal nido bianco che muta parte da la state al verno”, e anche peggio, bisogna però tenere conto che Dante era un uomo come si direbbe oggi, “tutto di un pezzo” e non concepiva il fatto che un signore come Maghinardo potesse essere Guelfo con i Fiorentini e Ghibellino in Romagna. Ma si sa, questa è la politica e questo è il potere, che non guarda troppo al sottile. Penso che il personaggio Maghinardo sarebbe piaciuto di più a Macchiavelli, vissuto molto più tardi e che nel 1506 fece sosta proprio a Palazzuolo, mentre accompagnava il Papa Giulio II, e chissà che la presenza dei luoghi e i ricordi ancora vivi fra la popolazione non lo abbiano ispirato per comporre il suo Principe? Era composta - la famiglia - oltre che da Maghinardo, dalla moglie Donna Mengarda, sicuramente di origine Longobarda o Franca, a giudicare anche dal nome, che pare, fosse la figlia di un nobile arricchito fiorentino, forse un banchiere. Di lei sappiamo solo che aveva portato in dote, per unirsi in matrimonio con Maghinardo, 1400 lire di Pisa in fiorini, una somma cospicua. Da Donna Mengarda, Maghinardo, non aveva avuto quella che si dice discendenza “diretta”, cioè dal loro matrimonio non erano nati figli maschi. Erano invece nate due femmine: Andrea e Francesca. Non meravigli il fatto che il  nome Andrea fosse dato a una femmina. Tutt’oggi nelle nazioni germaniche: Austria e Germania, tale nome può essere dato sia a maschi che a femmine. All’altra figlia era stato dato il nome Francesca, un nome che fa pensare ai Franchi. Questa era la famiglia di Maghinardo, nel senso “stretto” della parola. Ma è lecito pensare che altri componenti vivessero presso di loro, ma dai documenti non ci è dato sapere chi. Dal testamento di Maghinardo sappiamo che le figlie erano sposate, e sposate molto bene e quindi è opinabile che stessero presso le auree dimore dei loro illustri mariti. Andrea era andata in sposa nientemeno che a un membro della famiglia Ubaldini, signori di buona parte del Mugello e dell’Alto Mugello, aveva sposato Ottaviano degli Ubaldini da Senni, e probabilmente viveva nella residenza mugellana. Dal matrimonio di Andrea e Ottaviano era nato Gioacchino. L’altra figlia Francesca aveva sposato Don Francesco di Don Urso di Roma, antenati degli Orsini, nobile e potente famiglia romana. Faceva parte della famiglia “allargata”, se così si può chiamare, Alberia, nipote di Maghinardo, figlia del fu Bonifacio Pagani, che forse era morto prematuramente, quando ancora la figlia era nella minore età. Il nostro Maghinardo, aveva forse ereditato in nome suo, incamerando i suoi beni, tutto il suo asse ereditario, con la clausola di restituirglielo in eredità alla sua morte. Anche Alberia aveva realizzato un matrimonio molto importante, aveva sposato nientemeno che Giovanni da Senni degli Ubaldini, un uomo molto importante di quella famiglia mugellana. Essa sicuramente doveva risiedere in quel castello di Senni, di proprietà del marito, castello del quale esiste ancora una torre nella zona di Senni. Dal matrimonio di Alberia e Giovanni da Senni era nato Maghinardo Novello. Sempre di loro appartenenza era la villa omonima, con ogni pertinenza e diritti. Ma vediamo chi erano, oltre ai familiari, coloro che erano i parenti “stretti” di Maghinardo. Oltre ad avere due fratelli “bastardi”, cioè nati fuori del matrimonio legittimo, i cui nomi erano Giovannino e Ugolino, il nostro Maghinardo aveva anche una sorella chiamata Donna Lieta, che era andata in sposa a Guidone, nobile faentino, anche questo un matrimonio molto importante. Dunque Maghinardo dei Pagani, figlio del fu Pietro Pagano da Susinana, già signore potente e ricchissimo, se non fosse bastato, con i matrimoni delle figlie Andrea e Francesca, della nipote Alberia e della sorella, si era imparentato con le famiglie più ricche della zona, e cioè con gli Ubaldini, che gestiranno poi tutto questo patrimonio dal Mugello e dalla Toscana (ecco come si sono formate le Regioni attuali, e come un pezzo della Romagna sia pututo entrare, di diritto, a far parte della Toscana, proprio in virtù di questi feudi lasciati in eredità), oppure da Roma, nel caso degli Orsini. Egli aveva, come si suole dire, allungato i “tentacoli” del proprio potere dal Mugello alla Romagna fino ad arrivare a Imola, Faenza, Forlì; non solo, ma anche a Roma e alla Corte Papale. Oltre a questi Maghinardo aveva un altro nipote, che era avviato alla carriera ecclesiastica, si chiamava Bandino ed era chierico di Popolano. Dal testamento non risulta che Maghinardo avesse altri parenti. Queste persone sono coloro che erediteranno tutti i beni immobili, cioè il patrimonio vero e proprio. Neppure una casa, eccetto limitatissime eccezioni, andranno in eredità a persone che non appartengono alla famiglia, cioè a persone che non sono legate a Maghinardo da vincoli consanguinei. Queste eccezioni sono rappresentate dal Monastero e chiesa di Rio Cesare al quale andrà la metà del molino della Rocca di Susinana con tutti i diritti e redditi, a condizione però che detta parte del molino non venga mai alienata. Altra eccezione è rappresentata dagli “Amici della città di Imola”, e “Amici fuorusciti da Tossignano” ai quali lascia la Rocchetta, costruita e posta sopra Tossignano. Un’ultima eccezione è rappresentata da Arpino di Cantagallo (Imola), del quale non sappiamo bene però se ci fosse un legame di parentela, al quale lascia la Curia di Tirli, Coniale e Bignano; le prime due nel firenzuolese. Dal testamento di Maghinardo veniamo a sapere quelli che erano i suoi collaboratori più prossimi, chiamati con il linguaggio del tempo “famigli” o “soci” e “servi”, tra questi spicca il nome di Romanuccio da Campanara. Romanuccio è il cuoco personale di Maghinardo, che lo segue dappertutto, anche in guerra, ed è un “servitore fedele”. Per la sua “fidem, servicium, ministerium” (fedeltà, servizio militare e civile), Maghinardo lo ripaga con il dono più grande che potesse capitare ad un “servo”: quello della libertà. In compenso dei servizi prestati, Maghinardo libera Romanuccio e i membri della sua famiglia da ogni debito di vassallaggio che sarebbero spettati a Maghinardo “in perpetuo”. Da qui si capisce la condizione di schiavitù, di servi comuni, e servi della gleba (contadini), cui era soggetta buona parte della popolazione. Allo stesso Romanuccio viene lasciato anche un piccolo “ronzino baio”, che egli cavalca ed infine 25 lire bolognesi per riconoscenza del servizio militare prestato. Sappiamo, inoltre, dal Testamento che Maghinardo aveva al suo servizio, almeno due Scudieri chiamati Baliscerio e Mengolino, un Palafreniere (palafreno è un cavallo grosso, usato per viaggio non per guerra) chiamato Donato di Lozzole. Dal testamento sappiamo perfino quali sono i cavalli “personali” di Maghinardo, essi sono Fanestro, Caprona e Palafredo, quest’ultimo baio e mulo. Fra le altre persone “collaboratori” un Faciolo Cacciagruerra, servitore, un Matteo di Ragnolo, diletto, fedele, segreto servitore di Maghinardo, una vera e propria spia al suo servizio. Almeno tre sono le residente “ufficiali” del Signore di Susinana: il Castello di Susinana con la Rocca, castello di famiglia, appartenuto al padre che è il bene immobile più caro verso il quale Maghinardo attribuisce anche un valore “affettivo” notevole. Lascerà questo castello e rocca, con tutti i mobili e suppellettili alla figlia Andrea, forse primogenita. Altra dimora è il Castello di Benclaro, presso Faenza, nel quale Maghinardo detterà le sue ultime volontà al notaio Martino da Cesena e dove il 27 di agosto del 1302 renderà la propria anima a Dio; castello che verrà lasciato alla figlia Francesca. Altra dimora era il Palazzo “nuovo” che Maghinardo si era fatto costruire, proprio fuori le mura di Faenza, che lascia in eredità alla figlia Francesca. Dal testamento veniamo a sapere anche che se Maghinardo aveva molti debitori, cioè persone o enti (per lo più ecclesiatici) che gli dovevano dei denari; non mancavano i creditori, cioè coloro che avevano dato somme di denaro in prestito a Maghinardo. Fra questi un Chissimo (forse sinonimo di “ricchissimo”), banchiere di Imola, al quale doveva 400 lire bolognesi, o lo stesso Ottaviano degli Ubaldini, suo genero, al quale doveva 300 fiorini d’oro. Non può mancare un notaio al servizio di un così grande Signore. A Mazolo, notaio “personale” e giudice della città di Forlì, “antico e fedelissimo servo”, Maghinardo lascia 300 lire bolognesi. Doveva essere una cifra considerevole per quei tempi, se si pensa la fatto che per la sua sepoltura, che doveva sicuramente essere all’altezza del personaggio, fatta quindi su disegno di un celebre architetto dell’epoca, con marmi pregiatissimi, sculture, ecc., aveva destinato la somma di 10 lire bolognesi. Dal testamento ricaviamo ancora che la moglie Donna Mengarda, non eredita nessun immobile o terreno. Maghinardo ordina che le vengano restituite le doti, ossia 1400 lire di Pisa in fiorini. Purtroppo non possiamo fare un raffronto con la moneta di allora con quella di oggi. Sappiamo che una lira pisana equivaleva a 29 soldi pisani e che 29 soldi pisani equivalevamo a 1 fiorino. Verso la metà del XIII secolo a Firenze l’unità monetaria era la lira d’argento che si divideva in 20 soldi e un soldo in 20 denari, questa però decadde ben presto con il pregio acquistato dall’oro del fiorino. E’ una legge economica: la moneta pregiata scaccia la moneta povera. Maghinardo non manca nel suo testamento di fare tanta beneficienza. Prime fra tutte le chiese di Imola e Bologna, i poveri di Cristo e Mendicanti ai quali lascia 400 fiorini d’oro; le opere di pietà e maritare femmine e bambini esposti e abbandonati: 1000 lire bolognesi. Maghinardo si comporta da gran sigmnore anche con i “fideles”, i Vassalli, ai quali concede che il pagamento dell’imposta dovuta avvenga ad anni alterni anziché annuale. Nel testamento c’è una clausola anche per la città di Firenze: “poiché durante la mia vita ebbi rispetto e onore per il Comune di Firenze, in egual modo esorto e prego le mie eredi sopraddette e ad esse prescrivo in virtù della mia benedizione che allo stesso Comune di Firenze esse portino riverenza e onore in perpetuo. La morte di Maghinardo, avvunuta nel 1302, come riporta l’articolo sulla rivista “Medioevo”: “Benvenuta tirannia”: “non lasciando egli eredi diretti ed avendo tenuto una linea politica fra lega guelfa e ghibellina tutt’altro che coerente, la morte di Maghinardo fu seguita a Forlì da un durissimo scontro per la conquista del potere, fra le maggiori famiglie cittadine: Ordelaffi, Calboli, Orgoglissi”. Vediamo cosa succede nello stesso anno in Mugello, ce lo racconta lo storico Villani: “Nel 1302 quando muore Maghinardo i fiorentini vengono a oste   sotto Monte Accianico, per la cui difesa gli esuli fiorentini, fra cui Dante Alighieri....I fiorentini distruggono i loro castelli di Senni, Sant’Agata, Lago e Ponte Croce. Nel 1306 verrà distrutto anche Montaccianico con alla testa Cante di Gabbrielli, dopo aver assediato per 3 mesi....”. Ma, si sa, questa è la politica per il potere di ieri, di oggi, di sempre. Firenze aspettava la morte dell’”amico” Maghinardo per sferrare una grossa “artigliata” al potere feudale, proprio come fa il gatto con il topo. Concludendo dobbiamo porci la domanda: Maghinardo era davvero amico dei fiorentini e i fiorentini erano davvero amici di Maghinardo?

Paolo Campidori
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