MONTESENARIO CULLA DELL’ORDINE DEI SERVI DI MARIA

 

Intervista con i frati decani del Convento

 

Nel coro della Chiesa dei Servi di Maria a Montesenario c’è un bellissimo affresco di Pietro Annigoni nel quale si vedono i Sette Santi Fondatori, equipaggiati di zaini edi altre poverissime cose, mentre stanno arrampicandosi per le pendici del monte, in mezzo alla selva, fra grossi macigni che ostacolano il cammino. Sono facce rudi, anche se familiari. Probabilmente il Maestro Annigoni si era stampato nella memoria e tradotti in affresco anche qualcuno dei frati, ma questo non è documentato. Dunque, questi frati, che avevano da poco lasciato gli agi e i comodi della città, stanno per guadagnare la vetta dove li attende una luce folgorante, quella della visione della Madonna. A ricordo di questa apparizione i frati erigeranno una prima chiesetta in suo onore. Questo narra la tradizione.

Nei secoli a venire, più di otto secoli, saranno centinaia le persone attratte da questo luogo di preghiera e attratte da questo cenobio in cerca di qualcosa superiore alle ricchezze effimere del “mondo”. E’ la Madonna, la Vergine Madre celeste, verso la quale sono attratte; per questo si chiameranno Servi di Maria. Con questa definizione abbracceranno il Vangelo nella sua interezza e abbracceranno il Cristo verso il quale hanno fatto i voti di povertà, obbedienza, castità. Ho avuto il piacere e l’onore di fare una piccola intervista

ai due frati decani del Convento: Padre Luciano e Padre Ermenegildo, rispettivamente di 84 e 82 anni. Inizio con l’intervista a Padre Luciano.

Alla mia domanda: “Padre Luciano perché si è fatto religioso?” Padre Luciano risponde: “Nel mio paese c’era un Servo di Maria e vedeva che io frequentavo sempre la chiesa, servivo la Messa. Ero entrato in simpatia di questo frate di nome Fra’ Guglielmo e un giorno fu lui stesso a indirizzarmi verso questa professione”. Padre Luciano proviene dalla Versilia da un paese di nome Pruno nel comune di Ponte Stazzemese. Faceva parte di una famiglia numerosa composta di 7 figli: quattro maschi e tre femmine. Decide quindi di entrare in convento, ma non si sente all’altezza, ha paura di non riuscire. “Ora – dichiara – sono un altro uomo”. Pruno è un paesino tra i montoi a 12 km da Pietrasanta. Viene da una famiglia di cavatori di marmo. Il padre era cavatore, come lo si poteva fare all’antica, non con i mezzi e le macchine che esistono oggi, una vita durissima la sua. Ma la scintilla che lo fa decidere non è la paura di affrontare una vita pericolosa come quella del padre, ma una vera e propria “chiamata” alla fede. Come prima destinazione lo mandano alla SS. Annunziata di Firenze a fare un po’ di tirocinio, mentre il noviziato lo fa a Montesenario negli anni 1937-39, in piena epoca del fascismo. Domando: “Come ha trovato l’ambiente a Montesenario?” Pacatamente e con il sorriso risponde: “Faceva molto freddo, ma allora eravamo giovani, si vinceva. Poi c’erano delle mansioni da espletare e non avevamo molto tempo per pensare. Il lavoro era essenzialmente manuale: cucina, refettori, chiesa e poi le ore di formazione spirituale. In quei tempi c’erano circa 20 0 25 frati. Quindi una bella comunità. Il Convento aveva tre poderi con i contadini, con le mucche e le vacche da lavoro. Questi erano coloro che ci davano un poco da vivere. Ci portavano il latte, il formaggio, la legna. C’era un fratello che faceva il fattore, si chiamava Fra’ Paolino. Non mi sono pentito di entrare nell’Ordine dei Servi, tant’è vero che lo rifarei. Passati 2-3 anni sono andato a Siena. Quel convento era talmente povero…..praticavano ancora la questua (l’elemosina). Anch’io quando avevo tempo andavo in campagna per racimolare qualcosa: olio, legumi, formaggi: Soldi? A Siena non se ne facevano. Io ero solito andare in periferia ma la gente del posto i soldi li tenevano stretti. Davano invece spesso da mangiare e talvolta anche da dormire. Da Siena, in occorrenza di un cambio di supriori, fui mandato a Montesenario. Da allora sono passati la bellezza di 43 anni, quasi 44 sempre nel servizio della chiesa, accoglienza ai pellegrini, e fra la gente a dire due parole di conforto. Insomma una bella vita spesa al servizio del Signore, dei Sette Santi e della Madonna. Ora il convento è più frequentato, è un luogo più aperto e anche più vivibile. Il nostro è un Santuario antico che ha il privilegio di avere avuto l’apparizione della Madonna. Però la comunità dei fratelli non è più numerosa come una volta. Abbiamo frati toscani, dell?talia del Nord e (lo dice con un pizzico di orgoglio) anche canadesi”.

Poi è la volta di Padre Ermenegildo. Per coloro che sono visitatori abituali del convento

padre Ermenegildo è colui che ha la cura delle bellissime abetìe che circondano, quasi occultano il cenobio. Padre E. ha un po’ il pallino dei cartelli, quasi tutti ti invitano ad amare e rispettare il bosco. Ce ne sono alcuni che dicono: “La natura è un libro aperto” oppure “Guarda la natura e pensa al suo creatore”. Altri ammoniscono, ma in maniera cortese, coloro che vorrebbero oltraggiarla o farle violenza. Ma quando c’è qualcosa che non va, Padre Ermenegildo, non esita a rimproverare, poiché le piante sono utili alla nostra salute. “Mi piacciono le piante – afferma candidamente – sono creature di Dio che vanno amate e rispettate”. Poi inizia a parlare della sua vita di frate, Servo di Maria. “Il mio, è stato un tirocinio un po’ prolungato. Conoscevo un certo Padre Innocenzo, Domenicano. Ma sentii dire che i domenicani erano dei grandi studiosi, e questo mi mise un po’ di timore per uno come me che veniva da Tizzana di Quarrata. Mia madre, una santa donna, una volta mi ricordò quando io, ancora molto giovane dovevo entrare nel collegio a Figline Valdarno. Ormai la cosa era fatta se non che all’ultimo momento il Direttore mi avvertì che non c’erano più posti. Mia madre mi ricordò, appunto, che a me la cosa dispiacque. Nel frattempo conobbi un Padre, molto buono, sempre con il sorriso, questo era Padre Biondi. Fu questa la scintilla che mi mise in pace. Entrai nel 1932 nei Servi di Maria, come studente e dopo aver fatto tutto il ginnasio divenni sacerdote nell’anno 1943. Fino all’anno 1961 sono stato il frate più itinerante. Nel 1960 fui mandato a Sansepolcro, provincia di Arezzo. Qui conobbi Don Francesco Campidori (altro mio zio prete) che era parroco in una parrocchia di Badia Tedalda. Fu proprio in quest’ambiente di foreste demaniali che mi innamorai della natura e degli alberi”. Padre Ermenegildo ha ora 82 anni.

Concludo queste interviste non senza essere invitato prima a degustare un sorso della famosa Gemma di Abeto, liquore a base di erbe, fabbricato dagli stessi monaci, seguendo ricette antichissime. Questo liquore, da sempre, ha effetti medicamentosi; cura tra l’altro il raffreddore se preso con il caffè o thé caldi. Questo pomeriggio a Montesenario è passato come un baleno e l’ambiente unito all’esperienza spirituale dei monaci mi ha arricchito. Torno in città, lentamente  discendo il monte con la mia auto, mi guardo un attimo allo specchietto: ho il sorriso di chi ha trascorso alcune ore felici.

Paolo Campidori
(Copyright P. Campidori)