Intervista con il nipote
Monsignor Fulvio Nardoni era un pretino asciutto, di statura media, con con il volto un po’ scavato e gli zigomi appena pronunciati. Aveva due occhi neri, grandi ed espressivi che celava un poco sotto le spesse lenti dei propri occhialini tondi. Aveva i capelli neri e a ben guardarlo sembrava più un medio orientale che un italiano, forse lo si sarebbe potuto scambiare anche per un ebreo. In realtà era nato a San Godenzo nel 1894 in Mugello al confine fra Toscana e Emilia Romagna. I suoi genitori, benché benestanti, erano di estrazione popolare, suo padre era segretario del Comune di San Godenzo e la madre casalinga originaria di Castagno d’Andrea.. Suo padre aveva avuto cinque figli: tre maschi e due femmine. La più piccola l’aveva chiamato Rosa o Rosina. Questa sorella accompagnerà Don Fulvio per tutta la vita, accudendo il sacerdote e portando avanti le faccende della canonica, della cucina, della pulizia della chiesa di Macioli, insomma gli aveva fatto da “perpetua”. Rosina era una donna semplice e buonissima. dolce di natura. Monsignor Nardoni aveva compiuto i primi studi, quelli elementari, a San Godenzo, paese natìo, poi decise di entrare nel seminario di Fiesole per farsi prete. Nel 1921 fu ordinato sacerdote proprio nella basilica fiesolana allora retta dal Vescovo Mons. Giovanni Fossà. Dal 1921 al 1933 ricoprì l’incarico di vice-rettore e di insegnante del Seminario fiesolano, e allo stesso tempo ricopriva l’incarico di mansionario della Cattedrale di Fiesole. Dal 1933, in pieno regime fascista, fu inviato, come pievano, alla Pieve di San Cresci a Macioli, presso Pratolino e ricoprì questo incarico fino al 1956 La Pieve allora era bella come è tutt’oggi, rinascimentale, a tre navate, con archi e colonne e un bellissimo arco trionfale, con un battistero protetto da una bellissima inferriata in ferro battuto, opera del Franci. Insomma la chiesa era tale e quale l’aveva lasciata il Pievano Arlotto, che l’aveva restaurata con i denari degli allora protettori e patroni della chiesa Signori Neroni, dei quali ci rimane lo stemma sulla facciata in alto della chiesa. Successivi restauri ebbero luogo, dopo il passaggio del fronte, con il patrocinio della Soprintendenza ai Monumenti di Firenze e con i denari del popolo. Finita la parentesi a Macioli il sacerdote fu nominato canonico della chiesa di Sant’Ansano a Fiesole, fino alla morte avvenuta il 22 luglio 1974. Ho raccolto queste testimonianze dal nipote, Sig. Paolo Luciano Frassineti, che ha vissuto tutta la propria gioventù con lo zio Monsignore.
Durante l’ultima guerra Mons. Nardoni, mio zio, aveva organizzato un archivio particolare per aiutare gli ebrei. Queste persone, perseguitate dal regime, diventavano cattoliche per mezzo di una conversione fittizia.
Come riusciva a fare ciò Mons. Nardoni?
Mio zio rilasciava un certificato nel quale risultava, che a una certa data, queste persone si erano convertite al Cristianesimo. Questo era sufficiente per sfuggire alle deportazioni.
Quindi non era solo un problema di razza, ma anche di religione?
Si è vero, però bisogna tener presente che una parte degli ebrei di allora, quelli più “ortodossi”, era molto ostile nei confronti della religione cattolica e cristiana (Questo però non capitava con Mons. Nardoni con i quali aveva un dialogo vero e proprio). Per loro Cristo era un blasfemo e un malfattore giustiziato dai Romani, 2000 anni orsono. Oggi gli stessi si stanno rendendo conto che è cambiato l’atteggiamento dei cattolici nei loro confronti e quindi una parte di loro, quella più moderata e intellettuale è più “possibilista” .
I tedeschi non se ne sono mai accorti di questo “escamotage” che riguardava il cambio della l identità religiosa degli ebrei?
Questa attività fortemente illegale per quel periodo fu poi scoperta e i tedeschi lo vennero a prelevare e lo portarono alla Lupaia (una località nei pressi di Pratolino) sulla strada che conduceva al comando tedesco.
Come andò a finire?
Andò a finire che mio zio offrì dei denari e questi lo rilasciarono.
Oltre agli ebrei ha protetto altre persone?
Oltre a queste persone, sempre durante la guerra, lui teneva nascosto una trentina di paesani di Pratolino. Nel bosco c’era un rifugio. Questo rifugio dentro il bosco era abbastanza vicino alla chiesa. Questi rifugiati erano in parte famiglie di Pratolino con i propri figli e in parte erano alcuni giovani che sfuggivano al servizio militare, perché non volevano andare al fronte. Fra questi c’era una persona molto conosciuta il famoso Beppe Bello, con la moglie, era un personaggio molto caratteristico.
Era quello che aveva un difetto fisico?
Si, il nome Beppe Bello era decisamente ironico
Quindi Mons. Nardoni era un uomo coraggioso?
Era un uomo coraggioso, però la paura era molta. La sera, per invocare la protezione Divina, mio zio mi mandava con secchiello e acqua benedetta affinché queste persone si facessero il segno della croce e dicessero le preghiere. Allora la gente era molto religiosa e praticante.
Quali erano i rapporti di Mons.Nardoni con la Principessa Demidoff?
Devo dire che mio zio era tenuto molto in considerazione dalla Principessa Demidoff. La Principessa, che abitava la Villa Medicea di Pratolino, era russa, di religione ortodossa, quindi molto vicina al cattolicesimo. Essa era inoltre una parrocchiana. La Principessa teneva talmente in considerazione lo zio che tutte le settimane lo invitava nella sua villa. Prima di morire, avrebbe donato alla Chiesa, e – si dice - molto volentieri, un lascito notevole. Cosa che però poi non si è avverata.
Perché?
Forse perché lo zio era talmente umile e onesto che non ritenne giusto accettare un lascito o “ricompensa”, poiché in fondo si sarebbe trattato di ciò.
Come era composta la famiglia di Mons Nardoni?
Oltre la sorella, che si chiamava Rosina – come abbiamo già detto - c’eravamo noi, io e mio cugino Roberto, figlio di un fratello di Monsignore.
So che c’erano altre persone in famiglia.
Per un certo periodo, dopo il passaggio della guerra, è stato ospite della Pieve, per vari anni, un nobile fiorentino, era un Marchese e apparteneva alla nobile famiglia dei F. Questa sua presenza è stata determinante per l’economia familiare, per un certo periodo. Era un personaggio faceto e anche un po’ burlone che per certi tratti faceva ricordare l’illustre Pievano Arlotto, che fu pievano a Macioli nella seconda metà del ‘400, ai tempi di Lorenzo il Magnifico.
Ma Mons. Nardoni era soprattutto un grande studioso.
Mio zio era un grande studioso e ricercatore di testi biblici. In particolare aveva tradotto integralmente la Bibbia, Nuovo e Vecchio Testamento, dai testi originali antichi, quali l’aramaico (lingua ebraica antica) e greco antico. Per questa sua grandissima cultura era diventato docente del seminario di Fiesole.
Dove sono i documenti che riguardano e comprovano la vita e l’attività e le ricerche storiche di Mons. Nardoni?
Tutti i documenti che sono stati lasciati da mio zio si trovano presso gli Archivi del Vescovado di Fiesole.
Per averlo conosciuto e stimato personalmente devo dire che Mons. Nardoni era un po’ tradizionalista. Inoltre me lasciò nel lontano 1962, una sua Bibbia tascabile con dedica.
Questo è intuibile dalla passione che aveva per il latino e le lingue greche e l’aramaico e inoltre conosceva molto bene le lingue moderne.
Conosceva molto bene anche lingua italiana, infatti la Bibbia tradotta da Mons. Nardoni è apprezzabile anche per il linguaggio caratterizzato da una semplicità estrema.
Basti pensare che un giorno fu invitato dal Presidente della Camera di Commercio, il Prof. Devoto (l’autore dei vocabolari della lingua italiana) per uno scambio e un approfondimento di certe questioni sulla lingua italiana.
In quante edizioni è uscita la sua Bibbia?
Una prima edizione dei Vangeli risale al 1948 a cura delle edizioni Paoline. La Bibbia integrale invece fu edita per la prima volta dalla LEF di Firenze, che curò la bellezza di cinque edizioni. Fino ad arrivare all’attuale ristampa, in corso di pubblicazione, a monografie, curata dalla Einaudi Edizioni.
Paolo Campidori
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