IL LINGUAGGIO DEI NONNI 

Mi piace ritornare sul linguaggio dei nostri nonni, e sulle loro abitudini. Un vizio diffuso, ma anche un piacere, che i nostri nonni si concedevano in una pausa del lavoro dei campi,  e immancabilmente tiravano fuori la pipa o il sigaro toscano per farsi “la fumma’a”. Ricordo quelle pipe, di coccio, con il cannello o bocchino di legno nelle quali pigiavano il toscano preventivamente sbriciolato, da quello loro manone, dai diti possenti, e una volta messa in bocca la pipa, tiravano fuori lo “zorfino” e con delle energiche titate, che sembravano delle locomotive, attizzavano la pipa. Finita la “fummatina”, riprendeva il lavoro dei campi, il taglio del grano, del fieno, facendo attenzione a non imbattersi in qualche “zeccola”, che sarebbero state le zecche. Ma i nostri contadini erano “vispi”, erano furbi, sapevano quali erano i pericoli. Spesso nel lavoro dei campi, nelle stalle, venivano accompagnati dalle rispettive consorti. La donna era l’angelo della famiglia, elemento indispensabile in quella società per gli importanti compiti che ricopriva. L’uomo di allora, anche se schivo e rozzo sapeva farsi ben volere dalla propria donna, e ogni tanto le regalava un “vezzo” che sarebbe una collana. La donna sapeva bene come trattare il suo uomo. Spesso e volentieri lo prendeva per la gola e quando suonava “i’ tocco” lo chiamava a tavola dove gli aveva cucinato un bel piccione “teragnolo”. Natuarlmente a tavola con esisteva la finezza di oggi. Spesso i contadini avevano le “ugne” o “ugnelli” lunghi e non curati e quando mangiava non curava troppo il Galateo. Quando c’era la ciccia in umido, si poteva “ugnere”le mani, i baffi, senza che la sposa urlasse. Purtroppo allora il duro lavoro e l’essere sempre esposto a tutte le intemperie causava  la “tossa” che spesse volte era accompagnata da altri guai. Ma i guai non consistevano solo nella salute. A volte quando meno te l’aspettavi batteva il “tremoto” e di quello avevano paura tutti, anche gli animali. Quando le povere bestie erano “serrate”, quasi impazzivano, allora era necessario  “dar loro la stura” per eviatare guai maggiori. Le bestie erano troppo importanti per l’economia contadina di quei tempi. E’ vero che la “siccia” spesse volte toccava solo ai signori, ma qualcosa toccava anche al povero contadino, che qualche volta si accontentava dei “siccioli”. Ma l’alimentazione d’allora, non era come quella d’oggi, spesse volte ci si accontentava di una buona “stiaccia” condita con l’olio d’oliva. Però la vita della gente di campagna di allora era anche un po’ ingrata. Le bestie erano alla base dell’economia, ma per governarle, per pulirle sentivano molto “sito”. Ma la vita era fatta anche di qualche momento di spensieratezza, spesse volte per fare una pausa si saliva in casa a “schiccherare” qualcosa, e spesso a bere un buon bicchiere di vino, che quando lo mescevi faceva una bella “stummia”. Un goccetto di vino era necessaria anche quando nella battitura il contadino ingoiava una “resta”, che sarebbe un ago del grano. E allora erano “resipole”! A fine anno quando ormai il contadino aveva messo insieme qualche “rispiarmio”, si poteva concedere il lusso di fare qualche gioco in compagnia. Spesso si giocava alla “ruzzola”, che era una rotella di legno, che sostituiva il “cacio”, e il,gioco consisteva nel tirarla più lontano possibile. Tante persone assistevano ai giochi, anche donne e ragazze dalle belle “puppe” e anche qualche “pirulino” che faceva loro la corte. Quando era il momento si andavano a cercare i “pretaioli”, una specie di funghi molto buoni e appetitosi. Una volta raccolti si mettevano nella “pezzola” e si infilavano sotto il “pastrano”. Ma era importante trovare anche un poco di ghiande poichè il “niccio”, il maialino aveva molto appetito. Non c’era l’abbondanza di oggi, si faceva a “miccino” di tutto, cioè si faceva economia. Anche con la luce, si cercava di andare a letto presto per risparmiare il “moccolo”, la candela. Però c’era sempre qualche “mambrucco”, sciocco, che voleva vegliare. La mattina ci si alzava presto per andare nel “marucheto” a smacchiare, e per questo lavoro si usava la “pennata”. Però bisognava stare attenti perchè le “maruche”, le spine, erano insidiose e ci si poteva fare anche del male. Quando uno tornava a casa e non aveva le “marmeggiole”, si mangiava un “corteccino di pane” oppure un “grumolino” di cavolo “morvido”. Quasi tutti i contadini avevano i qualche “lillero” da parte, però facevano “le liste” di non averne affatto. E se non ce li avevano era la “listesima”, il contadino si sapeva arrangiare. Qualche volta, purtroppo veniva a mancare qualche amico, e , allora in quei casi si diceva “l’è ito”. Ogni famiglia contadina possedeva anche un pollaio, però bisognava stare attenti, il “gorpe” o “gorpino” (la volpe) era sempre in agguato. Qundo c’era tempaccio e non si poteva stare “fora” si stava “drentro” a “fiaccolare” nel camino mentre il ceppo faceva delle belle “faille” (scinbtille). Per prendere l’acqua si andava al “fontanello2, però quasi sempre si doveva camminare sulla strada “erta”. Spesso e volentieri i contadini erano senza denti, perchè si “bacavano” con facilità, e magari se non era oggi ma “domandassera” si doveva andare a tirarlo via. Spesso ci si fermava a parlare e a “cincistiare” , specie d’estate, sotto i “chercio”, e spesso nella conversazione si univa anche il “curatolo”. Le persone lontane si chiamavano con un “bercio”. Quando si faceva “bruscolo” i cacciatori andavano al “barzello” . Se chiappavano la lepre, questa si “avvitorcolava” e “stiantava” di lì a poco.

Paolo Campidori
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