Oggi si è soliti dire: “quelli che hanno il potere in mano”, le lobbies che “detengono il potere”, oppure il “potere logora chi non ce l’ha”, ecc. In effetti podere, che è un fondo rustico destinato a coltura, di solito lavorato da una sola famiglia, deriva da potere, nel senso di avere autorità, potenza. Nel medioevo per “Podere” si intendeva una entità politica e territoriale sottoposta a un feudatario. Il Podere di Palazzuolo, originariamente era una avamposto longobardo del Ducato di Tuscia nell’Esarcato di Ravenna. Da almeno il 941 risulta appartenere alla Diocesi di Firenze, data della “Cartha Precariae” che lo dà nella Pieve di San Giovanni Maggiore a Panicaglia. Da questo avamposto longobardo nacque il feudo dei Pagani, che poi diventò il Podere degli Ubaldini. Quando nel suo testamento Maghinardo parla di Chiese del mio Podere si riferisce al feudo originario della famiglia. Tuttavia i suoi possedimenti si erano estesi alle Valli del Lamone, del Santerno e lungo la Valle del Senio fino alla bassa Romagna. Il 19 di agosto dell’anno 1302, di domenica, nel suo castello di Benclaro, presso Faenza, “sofferente nel corpo, ma sano di mente”, come recita il testamento ”Poiché nulla è più certo della morte e nulla più incerto dell’ora della morte”, per questa ragione Maghinardo fa un testamento verbale e dispone dei suoi beni. Pochi giorni dopo, alla presenza del notaio Mantino del fu Ranieri di Cesena, di alti prelati e personalità, il nobile, “munito di tutti i veri sacramenti della Chiesa”, il giorno 27 agosto 1302, “dopo le nove del mattino e dopo aver pranzato e prima delle tre del pomeriggio”, il magnifico e potente Signor Maghinardo di Pagano di Susinana, “chiuse ultimo giorno, ed ha intrapreso il cammino della carne universale e, come si crede è passato dalla fatica di questo vano mondo al riposo”. Poco prima di morire, e come ultima disposizione, rivolge un attestato di stima a Firenze: “poiché durante la mia vita ebbi rispetto e onore per il Comune di Firenze, in egual modo esorto e prego le mie eredi sopraddette e ad esse prescrivo in virtù della mia benedizione che allo stesso COMUNE DI FIRENZE esse portino REVERENZA ED ONORE IN PERPETUO”.
Maghinardo Pagano, l’abbiamo detto, era un grande Signore, non è possibile oggi fare dei paragoni con dei signori nostri contemporanei. Oggi si dice che Tizio, Caio è ricco perché possiede le azioni di industrie meccaniche, chimiche, petrolifere, ecc, oppure poiché gli stessi posseggono decine di ville sparse in tutto il mondo, ecc. Ma non si può assolutamente fare un paragone. Si potrebbe, al massimo, azzardare di paragonare un Lorenzo il Magnifico con i “very very Vip” della finanza internazionale, ma solo sotto certi aspetti. Bisogna considerare che i grandi feudatari, come Maghinardo, possedevano una estensione di terra che, partendo dal Mugello andava fino a Faenza, una cosa inimmaginabile per i nostri giorni! Ma non basta, feudatario significava anche essere padrone assoluto del feudo, e quindi il Signore aveva anche potere giurisdizionale sullo stesso, potere di vita e di morte sulle persone. Il testamento di Maghinardo del 1302 è un documento eccezionale, anche perché ci permette di conoscere molte informazioni su di lui, sulla sua famiglia, sui suoi collaboratori e domestici, sui suoi servi, sui debitori, sui creditori, sull’usanza di seppellire i notabili, sui denari dell’epoca, sulle usanze delle doti matrimoniali e infine ci permette di conoscere con esattezza la consistenza patrimoniale al momento del suo decesso. Dal testamento ricaviamo che Maghinardo non aveva eredi maschi, egli aveva avuto dal suo matrimonio con Mengarda due figlie chiamate Francesca e Andrea (allora questo nome si dava anche alle femmine). Queste due figlie erano andate in spose, nientemeno che, a Ottaviano degli Ubaldini e a Don Francesco di Don Urso di Roma. La sorella di Maghinardo, invece, era andata in sposa a Guidone di Faenza. Erano questi matrimoni di interesse, combinati dalle famiglie stesse, per accrescere il loro potere, ricchezza. La nipote, Alberia, che probabilmente aveva fatto parte della famiglia, aveva sposato nientemeno che un Ubaldini: Giovanni da Senni. Lascio immaginare a voi quanto questa casata fosse potente. Maghinardo fu senz’altro il più famoso dei cavalieri che dominarono il nostro Appennino e più di chiunque altro incarnò le caratteristiche del “Leone rampante” che portava nel suo scudo. Dante non lo amava per quella sua caratteristica di “mutare gabbana” a seconda delle situazioni e lo raffigura come il “Lioncel dal nido bianco che muta parte da le state al verno”. Naturalmente tutto o quasi il patrimonio viene lasciato in eredità alle figlie Andrea e Francesca e alla nipote Alberia. Alla moglie Donna Mengarda, lascia, o meglio ordina vengano “restituite le doti che io ebbi al tempo del contratto di matrimonio” e cioè “millequattrocento lire di Pisa in fiorini”. Sempre dal testamento veniamo a sapere che Maghinardo aveva due fratelli “bastardi”: Giovannino e Ugolino. Essi ereditano, il primo, la tenuta del Castello di Particino, fra Fantino e Lozzole; il secondo, il castello di Gamberaldi. Francesca, Andrea e Alberia ereditano un elenco di castelli, tenute, ville, palazzi, diritti di ogni genere, che a leggerli fanno rizzare i capellli. Palazzuolo, considerato il “Podere” ed è forse l’unico caso in Italia, che una entità politica e territoriale viene definita con questo nome. Nel testamento, tuttavia, si accenna a Palazzuolo come mercato e pedaggio, i cui frutti, Maghinardo vuole siano ereditati congiuntamente dalla figlia Andrea e dalla nipote Alberia. A Susinana ,Maghinardo, possiedede uno dei Castelli di famiglia e sopra il Castello c’è la Rocca, con la guarnigione militare per la difesa del Signore, della sua famiglia, e per la difesa del territorio. Questo castello, come i suoi mobili e suppellettili, andrà in eredità a Andrea, moglie di Ottaviano Ubaldini. Gli Ubaldini quindi con Ottaviano e Gioavanni da Senni erediteranno tutto questo patrimonio della Romagna Toscana, territorio che in seguito entrerà definitivamente a far parte della Toscana. Dal testamento sappiamo anche che Maghinardo aveva un nutrito stuolo di servi, palafrenieri, cuochi, scudieri e perfino agenti segreti 007. Uno di questi, Matteo di Ragnolo, viene nominato esplicitamente nel testamento, quale “diletto, fedele, segreto servitore”. Al fedele cuoco Romanuccio da Campanara, nonché aiutante di campo nel servizio militare, Maghinardo “libera” lo stesso Romanuccio, i fratelli di lui e tutti gli altri parenti “da ogni debito di vassallaggio...per sempre”, e inoltre gli lascia il piccolo ronzino baio che cavalca. Sempre dallo stesso testamneto sappiamo che Maghinardo aveva tre cavalli personalissimi, Fanestro, Caprona e Palafredo, quest’ultimo baio e mulo. A Donato di Lozzole, palafreniere (il palafreno è un cavallo grosso da posta, non per guerra o per corsa), Maghinardo lascia una somma in danaro. Lo stesso dispone somme per gli scudieri (coloro che reggevano lo scudo al cavaliere e glielo porgevano al bisogno) Baliscerio e Mengolino. Il castello di Benclaro, dove muore Maghinardo, con mobili e suppellettili e il Palazzo di Faenza vengono lasciati alla figlia Francesca. Maghinardo vuole essere “Signore” di nome e di fatto, per i poveri di Cristo, mendicanti, lascia una notevole somma in fiorini d’oro. Per quanto riguarda la sua sepoltura Maghinardo dispone: “scelgo come mia sepoltura e voglio che il mio corpo sia sepolto presso la chiesa e monastero di S. Maria di Rio Cesare secondo l’usanza e vestito dell’abito dell’ordine di Vallombrosa e non diversamente”. Questo garantiva a Maghinardo un buon biglietto da visita, una volta arrivato al cospetto dell’Eterno, e una garanzia per i discendenti, che entravano così a far parte della “famiglia” potentissima dei vallombrosani....se ce ne fosse stato bisogno!!
Paolo Campidori
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