LE MILLE STELLE DI RAZZUOLO

Una vecchia canzone popolare dice: “E prima San Frediano l’era un fiore, e ora l’è un castello abbandonato, e prima c’era lo mio amore ....ecc. ecc.”. In questi versi un innamorato ricorda, quando ancora San Frediano a Firenze era un quartiere popoloso, un po’ fuori città, ma era una quartiere “vivo”, con i bottegai, le vecchie trattorie, i personaggi caratteristici che parlavano un dialetto tutto particolare e un po’ sboccato. Tant’è che quando un fiorentino parlava un po’ “sbracato” si diceva allora: “Di do’ tu vieni, che se’ di San Frediano? Ritornando ai versi e all’innamorato, si dice che, purtroppo, ora  l’è un castello abbandonato e che prima c’era lo suo amore e ora non c’è più. Tutto è andato perduto proprio come a Razzuolo. Nella mia gioventù ho frequentato, e per un tempo abbastanza lungo, questa località che si trova ai piedi della Colla, poiché proprio in questo piccolo paese, che era una volta un antico castello, abitava un vecchio “mio amore”. Cose giovanili, beninteso! Insomma in quei famosi anni ’60, che erano un po’ anche i miei, mentre stavo facendo il servizio militare, nientedimeno che a Firenze, facevo la spola su e giù: estate, inverno, con la neve, con il ghiaccio. Anzi, allora, il ghiaccio non ci faceva affatto paura. Mi ricordo che per essere a Firenze alla mezzanotte, scadenza del permesso, partivo da Razzuolo alle 23,30, e con la mia Diane “Deux chevaux”, vi ricordate quell’auto tutta molleggiata? Insomma, una curva a destra e una a sinistra, in ripetizione costante riuscivo ad arrivare alla caserma con quei cinque minuti di ritardo, che si chiamavano i cinque minuti di comporto, e ti evitavano la ‘consegna’. Ma perché tutto questo prologo? Perché allora che avevo 20, e come me tante altre persone, anni non pensavo certo nè alla storia, né all’arte, né al folklore. Pensavo a tutt’altre cose! Cioè? Beh, immaginate voi...E’ proprio vero quel detto che dice “Tira più un pelo di .....che un carro di buoi”. Poi si è visto anche, nella trasmissione di Panariello, che è un trattore quello che tira più di un carro di buoi. La compagnia era piacevole, in quel piccolo borghetto di campagna, dall’aria così salubre, si trascorrevano delle ore felici, e si stava allegri con del buon vinello toscano. Mi ricordo che all’Osteria, ancora si è mantenuta tale e quale, si beveva un “vinsantino” mica male. E poi le cene, la danza a Razzuolo e a Casaglia. E niente ci fermava. Ma chi se lo immaginava allora che quel paesino di montagna una volta era molto importante? Io non mi sono mai accorto di nulla, né nessuno mai del posto mi ha detto qualcosa del passato illustre del paese. Qualcosa che c’era ma ora non c’era più, proprio come nella canzone. Poi la vita cambia, da giovane “latin lover”, o “vitellone” che dir si voglia, si passa nella categoria “persone serie”, si diventa insomma intellettuali. Si va a frugare negli Archivi, si esaminano manoscritti e pergamene, si consultano libri moderni e antichi....Che cambiamento! Mio figlio dice cambiamento da “choc”. Sara vero? Insomma, prendiamola come vogliamo, si viene a sapere che in quel borghetto chiamato Razzuolo, in passato, era un Castello, menzionato da Matteo Villani, nel libro VIII della sua Cronaca, ma anche dal prestigioso borghigiano Brocchi nella sua Descrizione del Mugello della metà del ‘700. Ma non è finita, cari amici. Razzuolo era sede di una delle più prestigiose Abbazie Vallombrosane sorte intorno ai primi decenni dell’anno 1000. Questa Abbazia voluta proprio da San Giovanni Gualberto, fu eretta nello stile vallombrosano, ed è, addirittura, quasi gemella dell’Abbazia di Rio Cesare a Susinana, presso Palazzuolo, I vallombrosani, non dimentichiamolo, nella zona mugellana avevano anche l’Abbazia di Moscheta. Si erano estesi un po’ a macchia di leopardo nel territorio del Mugello e Alto Mugello. La cosa interessante è che queste abbazie furono costruite in punti strategici, quali vie di comunicazione di importanza notevolissima. Anche a Crespino e a Marradi troviamo abbazie dello stesso ordine. Uno studio approfondito di questi insediamenti, allora detti eremitici, chiarirà il ruolo religioso e politico di queste strutture. L’abbazia di Razzuolo, una volta terminata fu affidata alla guida del monaco, poi Abate Teuzzone, che era anche il biografo di San Giovanni Gualberto. A Teuzzone, divenuto poi anch’egli Beato, furono affidati otto monaci, che, forse per la loro vita esemplare e la loro santità furono chiamati “le otto stelle di Razzuolo”. I monaci oltre alla preghiera, oltre alla salmodia, avevano anche il compito del lavoro, glielo imponeva la regola. Questi monaci quindi disboscavano e dissodavano terreni, si occupavano di agricoltura, di pastorizia, di costruzione di strade e di piccoli ponti ed avevano il compito dell’accoglienza dei pellegrini. In nome di Dio, davano, a chi glieli avesse chiesti, legna, pane, latte, lana ecc.Questa abbazia ha avuto una vita molto lunga, circa sette secoli, prima di trasferirsi a Ronta nella nuova sede. In sette secoli quanti monaci sono stati accolti nell’eremo di Razzuolo? Da “otto stelle” iniziali, le stelle sono diventate centinaia, mille e forse più. Ecco perché a Razzuolo, castello abbandonato (e distrutto), Abbazia secolare ora irriconoscibile, nelle sere d’inverno e d’estate brillano alte nel cielo mille stelle. Sono le stelle dei monaci dell’Abbazia di Razzuolo, che sono volate così in alto e brilleranno per secoli e secoli.

Paolo Campidori
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