L’ARTE E LA PACE NEL MONDO IN MOSTRA A RUFINA

Nel giugno del 2000 una rivista italiana specializzata in archeologia riportava queste notizie: “La riapertura dell’Iraq Museum di Baghdad lo scorso 29 aprile 2000, dopo dieci anni di chiusura, del più importante museo di archeologia vicino-orientale”. Due anni prima, nel 1998, l’allora Direttore Generale delle Antichità dell’Iraq, Muayad Said Dameij, aveva concesso una intervista alla stessa rivista italiana. Alla domanda su cosa sperasse per le sorti dell’archeologia del suo Paese, martoriato da anni di guerra e da un embargo, ancora allora sussistente, egli aveva risposto: “Il mio desiderio principale è quello di poter riaprire l’Iraq Museum, insieme agli altri 33 musei archeologici del nostro Paese”. E poi spiegava questa sua priorità: “Se i musei saranno di nuovo visitabili, ciò significa che vi sarà la pace. Non credo, infatti, che li riapriremo finché c’è anche solo il minimo rischio di incursioni o bombardamenti”. L’articolo del giugno 2000 continuava: “Sono 21 le sale nuovamente aperte del Museo...per ospitare le testimonianze emerse dagli scavi archeologici condotti nell’antica Mesopotamia da équipes di tutto il mondo....Oggi vi sono esposti circa 10000 oggetti relativi all’età sumerica, accadica, assira, babilonese e islamica.....Ma non tutti i reperti del museo sono presenti all’appello: altri diecimila verranno aggiunti nei prossimi mesi, altri rimarranno nascosti nei depositi....”. Poi i fatti dell’11 settembre, vale a dire l’abbattimento delle Torri Gemelle di New York. ai quali è seguita, come prima risposta, la guerra americana al terrorismo di Bin Laden e all’Afganistan. In un primo momento si era pensato che questo atto di ritorsione fosse stato sufficiente a Bush e agli Stati Uniti, ma ben presto ci siamo accorti, anche dalle dichiarazioni dello stesso leader americano, che nel giro di pochi mesi ci sarebbe stata un’altra guerra, quella appunto all’Iraq di Saddam Hessein. Il resto è storia dei nostri giorni. Vi ricordate? La pressione americana aumentava di giorno in giorno, il presidente americano, totalmente indispettito dalle prese di posizione  dell’ONU e di alcuni paesi europei quali Francia Germania e, non ultima in ordine di importanza la Santa Sede, dava segni di impazienza e andava cercando consensi (ad ogni costo) un po’ presso tutti i capi di stato del mondo. E’ in questo contesto che è nato quel forte movimento pacifista, non solo in Italia, ma in tutte le parti del mondo, che ha osteggiato con ogni mezzo il fronte della guerra. In Italia vi sono state manifestazioni importanti, lunghi cortei di pacifisti, in quasi tutte le città italiane, e ai manifestanti si sono aggiunti anche i religiosi, preti, frati suore. Non passava sera che alle notizie angoscianti del Telegiornale, che ci prospettava la guerra come una cosa inevitabile, si contrapponevano i servizi sulle sfilate di pace e le dichiarazioni pacifiste del Santo Padre, totalmente contrario alla guerra.  Anche i partiti politici della sinistra e certi conservatori moderati, i sindacati, tante associazioni, ecc., erano tutti schierati in favore della pace e contro la guerra. E poi le nostre case si sono tappezzate con gli innumerevoli e bellissimi colori delle bandiere multicolori. Anche sul balcone di casa mia, sventolava e sventola tutt’ora la bandiera con i colori dell’arcobaleno e la scritta PACE. Però la determinatezza degli Stati Uniti, insieme a qualla dei “falchi” che si trovavano un po’ in ogni paese, ha preso il sopravvento e la macchina della guerra si è messa in movimento con più determinazione. Non sono bastate le parole del Papa e della maggioranza degli italiani che si erano schierati contro la guerra. Il pacifismo degli italiani dava fastidio a molte persone, perfino in certi ambienti cattolici. In altre nazioni come  la Spagna, il governo ha aderito alle posizioni statunitensi nonostante che, ben l’85% della popolazione fosse stato di parere contrario. E’ democrazia questa? Ma ritorniamo all’intervista del Direttore Generale delle Antichità irachene Prof. Muayad Said Damerij del 1998: “Pochi mesi fa mi sono recato nel sud della Mesopotamia, per la prima volta dopo la guerra del Golfo ed ho potuto constatare che le distruzioni vanno al di là di ogni previsione. Siti archeologici, intere città antiche di 5000 anni e che fino di recente erano ancora integre, sono oggi in massima parte distrutte. Inoltre i clandestini hanno scavato decine di migliaia di fosse e hanno ridotto queste antiche rovine in un paesaggio lunare”. Tutto questo nella storia degli ultimi 15 anni. Poi, come tutti noi abbiamo visto, la guerra fosse o non fosse giusta, che la stessa fosse o non fosse lecita, gli Stati Uniti hanno iniziato il conflitto armato. Le cosiddette “bombe intelligenti”, che poi di intelligente non so cosa abbiano, sono andate a cadere su Baghdad, e, con una precisione assoluta, sono andate a cadere anche sull’Iraq Museum di Baghdad portando distruzione e terrore. L’ottimismo manifestato dal Prof. Muayad Said nella sua intervista circa la riapertura del museo si è dimostrato purtroppo non esatto e non lungimirante. Dai notiziari siamo venuti a sapere, e, dai servizi in video, abbiamo visto cose mostruose, inenarrabili, non solo per le persone, ma anche per il patrimonio artistico. L’Iraq Museum è stato letteralmente preso d’assalto e i preziosisimmi reperti in esso ospitati sono stati trafugati o andati distrutti e con essi è andata distrutta l’intera storia della nazione irachena. Avevamo ragione noi pacifisti che temevamo, tra l’altro, la distruzione della storia di una grande civiltà? Mi rendo conto anche del dolore delle migliaia di artisti, studiosi di storia e di arte, e di cittadini in genere che amano i musei, la storia, l’arte in genere. Gli artisti in particolare, per quanto mi risulta, hanno sempre privilegiato la pace e hanno sempre aborrito la guerra. Unica eccezione il futurismo di Futurballa, il quale amava le macchine, le cose in movimento, la confusione, il “progresso” e anche la guerra. Era un movimento artistico, questo, che andava di pari passo con le follie del fascismo e del nazismo. Evidentemente questo Balla era un artista fuori dalla norma. Al di là della ideologia, debbo però ammettere che a me il futurismo, come corrente artistica, mi piace. Esso fa parte di un certo periodo storico e lo dobbiamo accettare così. Diverso è il discorso della Mostra “L’arte e la pace nel mondo” rufinese, voluta in particolare dall’amico Manlio Nebbiai e da una cerchia di artisti rufinesi e della Val di Sieve. Che l’amico Manlio, fosse un mecenate e un “talent scout”, questo lo sapevo e che fosse anche un ottimo organizzatore pure lo sapevo. Se ci fosse qualche dubbio, posso dire che lo stesso Manlio è stato capace di organizzare dall’A alla Z questa mostra a tempo di record. Io voglio molto bene a Manlio, poichè è un a persona che ha dedicato la propria vita e il proprio tempo libero a favore dei suoi concittadini rufinesi. In particolare Manlio ha organizzato mostre e concorsi artistici che hanno fatto molto onore alla cittadina e al Comune in cui abita, e per questa ragione l’amico Manlio merita tutta la nostra stima e rispetto.

Paolo Campidori
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