SAVONAROLA AVEVA RAGIONE
Le profezie savonaroliane in analogia con le
profezie relative all’apparizione della Madonna del Sasso presso Santa Brigida?
Girolamo Savonarola da Ferrara, Domenico Buonvicini da Pescia e Silvestro
Maruffi da Firenze, tre frati domenicani del Convento di san Marco, il 23 maggio
1498 vengono arsi vivi, come eretici, sulla pubblica piazza della Signoria di
Firenze. Chi era in realtà Girolamo Savonarola e chi erano i due frati che
affrontarono con lui il martirio? Girolamo, ferrarese, deluso del “mondo” e
forse amareggiato anche da una storia amorosa finita male, pare con una
fanciulla fiorentina di nobile famiglia, Laudomia degli Strozzi, decise di
ritirarsi in Convento. Girolamo proveniva da una famiglia benestante ferrarese
che lo aveva fatto studiare e si aspettava da lui una carriera brillante,
magari, come quella di Nonno Michele che era diventato medico della Casa d’Este
di Ferrara. Forse per la sua non comune intelligenza, per il suo spiccato senso
critico, talvolta pungente, anche apertamente, nei confronti del potere e della
Chiesa, dopo alcuni “soggiorni” come “lettore” al Convento di san Marco a
Firenze, il frate viene definitivamente assegnato a questo convento, nella
primavera del 1482, tempo in cui nella città regnava Cosimo il Vecchio della
Famiglia Medici, despota e banchiere di fama europea. Già il nome dell’Ordine
“domenicani” deriva dal latino e, cioè, “I cani del Signore”, in altre parole,
coloro che si opponevano con determinazione alle eresie del tempo, per difendere
la Chiesa e Cristo.
Girolamo si assunse questo compito con passione e cercò nelle sue appassionate
prediche di ridestare nei credenti un salutare “timore di Dio”. Ben presto viene
eletto priore del Convento e Lorenzo il Magnifico, che era succeduto al governo
della città di Firenze, si reca a fagli visita, in quanto “benefattore” del
Convento e, in segno di “benevolenza”, ma poco prudentemente, lascia cadere
nella cassetta delle elemosine ben trecento ducati d’oro. Una cifra enorme per
quei tempi. Ci chiediamo se Lorenzo con questo gesto abbia voluto saggiare le
virtù del Priore e di conseguenza ingraziarselo. E’ probabile. Savonarola
rifiuta con sdegno il cospicuo “obolo” e ordina ai suoi frati che quei ducati
vengano distribuiti fra i poveri. Girolamo (forse indispettito da questo
tentativo di corruzione da parte di Lorenzo) decide di non incontrare nel
Chiostro del proprio Convento, il Signore di Firenze che lo attendeva
impazientemente. I frati, vedendo Lorenzo attendere, si erano dati daffare,
anche perché il clima stava diventando grottesco, e si rischiava di mettere in
ridicolo un signore così potente. I frati, intimoriti, non soliti a situazioni
imbarazzati come questa, si erano dati da fare per sollecitare il loro Priore
affinché si recasse nel Chiostro, dove Lorenzo lo attendeva. Ma Savonarola ai
frati aveva risposto: “Chi mi ha eletto Priore, Dio o Lorenzo?”.
Questa frase sibillina ci fa capire la personalità, tutta d’un pezzo di questo
religioso, al quale mancava forse un po’ di umiltà, ma era dotato di
straordinarie virtù, di coraggio e di amore per Cristo. Alle sue prediche
partecipavano in massa i credenti e i suoi “seguaci” più stretti, che erano
detti dal popolino i “piagnoni”. Questi ultimi amavano talmente il frate tanto
da accompagnarlo sempre in ogni suo movimento, per proteggerlo dalle ire dei
“compagnacci”. Ma non era solo fanatismo quello dei “piagnoni”. Essi
apprezzavano le prediche del Savonarola, soprattutto per la conoscenza che aveva
dei testi sacri ai quali aggiungeva suoi commenti che talvolta avevano il senso
di vere e proprie profezie bibliche. E’ probabile che a Firenze ancora non era
cessato l’eco del fatto prodigioso dell’Apparizione della Madonna, qualche anno
avanti, a due pastorelli di Santa Brigida presso Firenze. Apparizione questa,
che secondo le cronache dell’epoca fu visibile a tutte le persone (che erano
molte) che erano convenute sul luogo dell’apparizione. La Madonna in quella
occasione aveva rivelato ai pastorelli alcune profezie ben precise sul futuro
della città di Firenze. Può darsi che Savonarola nel fare certe profezie si
riferisse anche alle rivelazioni fatte nel corso di questa Apparizione Il popolo
“piagnone” però partecipava anche perché altri motivi. Il frate, la cui sua fama
metteva in ombra quella dello stesso Lorenzo, era diventato il principale
fustigatore dei vizi dei fiorentini dell’epoca che erano: avarizia, superbia,
invidia e, non ultimo, quel diffusissimo vizio contro natura, indicato, anche
dai francesi di allora, come “vice florentin”, vale a dire “vizio fiorentino”.
Nel frattempo a Roma era giunto al soglio pontificio quel Papa che in fatto di
vizi e di lussuria la sapeva lunga: il catalano Alessandro VI Borgia, che era
ricorso al mercato simoniaco per acquistare vescovadi, porpore cardinalizie e
perfino l’elezione a Papa.Le prediche savonaroliane avevano messo in subbuglio i
cosiddetti “compagnacci”, “alleati” di fatto con i francescani, (invidiosi si
questa popolarità domenicana) e i Medici. I “compagnacci” erano capeggiati e
“manovrati” da quel francescano, Fra Mariano da Gennazzano, amico dei Medici e
del Papa, ma nemico giurato di Savonarola e dei “piagnoni”. Quest’ultimi erano
chiamati con questo nome, per indicare un tipo di credente, lagnoso, sempre
pronto a battersi il petto in segno di penitenza. Ben presto però le prediche
contro i vizi dei fiorentini, contro il potere tirannico dei Medici e contro
l’immoralità del Clero, avevano dato i suoi frutti e tra il popolino aveva
cominciato a serpeggiare un diffuso malumore che rimbalzava nelle stanze del
potere di Firenze e nella Sede papale di Roma. Papa Borgia, su sollecitazione
anche della famiglia Medici, “invita” a Roma più volte Savonarola, ma Girolamo
rifiuta poiché sa bene, che una volta giunto a Roma verrà rinchiuso nelle
prigioni papali, se non addirittura ucciso. Per la verità Savonarola temeva che
sarebbe stato avvelenato. A Firenze la situazione si complica, il Papa vuole
Savonarola a tutti i costi, ed è anche disposto a scomunicare la città. Su
incitazione dei “compagnacci” guidati da Fra Gennazzano, con l’appoggio di casa
Medici e con il “placet” del Papa, Savonarola viene arrestato e fatto
prigioniero nel famoso “Alberghetto”, una stanzetta, che poi diventerà, per
questo fatto, tristemente famosa, posta alla base della torre di Palazzo
Vecchio. Dopodiché con un processo-farsa e dopo essere stato torturato,
Savonarola viene condannato al rogo e bruciato nella pubblica Piazza, insieme ai
suoi seguaci, i frati Domenico Buonvicini e Silvestro Maruffi. Così il 23 maggio
1498, Firenze, la città della cultura, la culla del Rinascimento, la capitale
economica europea, la città del fiornino d’oro commerciato in tutti i mercati,
immolava ingiustamente tre martiri e tre “santi”. Firenze ha poi riconosciuto
l’errore commesso nei confronti di questi frati ed ha riconosciuto la loro
grandezza, tant’è vero, che ha dedicato in loro onore vie e piazze in questa
città. Non altrettanto mi sembra abbiano fatto i francescani e, tanto meno,
Santa Madre Chiesa, che li considera tutt’ora eretici, oppure, dei delinquenti
qualsiasi. Ironia della sorte e della storia, Savonarola che si era “arruolato”
fra i “Cani del Signore” per difendere la Chiesa dalle eresie, quasi per un
contrappasso dantesco, viene, a sua volta, messo al rogo come eretico!
Paolo Campidori
(Copyright P. Campidori)