UNA STORIA AL “SILICONE”

Giorgia. e la festa dell’8 marzo a Firenzuola

Giorgia era una di quelle ragazze moderne, “impegnate”, una di quelle di cui si diceva, che non perddesse l’occasione di “portare avanti il discorso”. Le manifestazioni di piazza a Firenzuola le aveva fatte tutte, naturalmente,  quelle patrocinate dalla propria organizzazione sindacale; non aveva invece partecipato a quella dimostrazione, con tanto di “girotondo” intorno al Comune di Firenzuola, contro la chiusura della statale della Futa a Montebeni, poiché, diceva, quella era stata organizzata dalla “destra”. Non aveva neppure partecipato, qualche anno fa, alla manifestazione contro la mega-discarica del Pago, presso Firenzuola, poiché lei si diceva convinta assertrice, che la discarica avrebbe portato dei benefici alla zona. Giorgia, era una ragazza alla moda, di oggi, che non aveva peli sulla lingua, lo sapevano bene i giovanotti della Casa del Popolo quando le facevano delle “avances” da lei non troppe gradite. Non aveva neppure peli sulla lingua quando si trattava di salvare il posto di lavoro e, allora, dei padroni ne diceva peste e corna. Non era una ecologista nata. Era inutile che le andassero a dire che le ruspe distruggevano le sue belle montagne, per cavarne la pietra serena o per fare “graniglia” per costruire strade e ferrovie; lei non ne voleva sapere, era una che teneva i piedi per terra, e per lei valeva più un uovo oggi che una gallina domani; che era più importante star bene a questo mondo, poiché nell’altro non ci credeva. Anzi, che nessuno le fosse andato a parlarle di Cristi e di Madonne, si arrabbiava e diventava rossa come un peperone. Giorgia, era una di quelle che credeva veramente nell’emancipazione della donna e della sua imminente liberazione dalla schiavitù maschile. Abitava nella zona di Violla, presso Firenzuola, aveva un marito, che però lo teneva un po’ come la ruota di scorta. A lui non interessava forse più di tanto che Giorgia, sua moglie, andasse da sola a ballare a Casanuova sul Giogo; a lui interessava soprattutto, la sera, tornando dal lavoro, di trovare un bel piatto di mimestra fumante e un po’ di pane fresco da far scricchiolare sotto i denti. Giorgia, il sabato sera, quando partiva da casa sua alla Violla, con la sua Pandina rossa, tutta tirata a lucido nella persona e truccata come sapeva fare lei, era una che faceva la sua figura. Però , bisogna dire, che Giorgia, nonostante che non fosse malvagia come aspetto, e neppure proprio da buttare via, era sfortunata, non era stata capace o all’altezza di trovare un “compagno” per le sue avventure. Giorgia, in fatto di avventure, non se ne faceva scrupolo; credeva nella famiglia “allargata”, e proprio per questo ci sarebbe stato posto anche per un eventuale compagno, che non fosse il marito. Figli non ne voleva avere, lei voleva essere libera, e perciò faceva un uso costante di contraccettivi. La festa alla quale Giorgia della Violla teneva più di tutte era quella dell’8 marzo, la festa della donna. Quell’anno Giorgia si era preparata per tempo, per far bella figura a Casanova. Quella volta era sicura che avrebbe fatto colpo, anche perché la nostra Giorgia, si era rifatta per tempo il naso, le labbra e il seno. Abili chirurghi bolognesi avevano messo all’interno delle sue labbra e dei suoi seni dei “cuscinetti” di silicone, di modo che le sue labbra erano diventate carnose e voluttuose e il suo seno turgido come una caciotta di latte di pecora. Ora era perfetta, se non fosse stato per quei maledetti denti, che per una malattia, aveva perso da giovanissima ed ora si ritrovava ad avere la protesi, vale a dire la dentiera. Lei che era così giovane! La sera dell’8 marzo dopo aver messo a nanna il marito, aveva indossato un “tailleur” rosa fuchsia ed aveva messo una bella ciocca di mimosa sul seno e tre gocce di Chanel n. 5 sul collo. A Casanova aveva ballato tutto il tempo, con un biondino forse slavo, forse albanese. tanti tanghi appassionati, ma soprattutto valzer, e, girando e rigirando era diventata rossa e anche un po’ paonazza. Al biondino che la stringeva forte forte e la baciava con un tale ardore, avrebbe voluto dire di fare “a modo”, altrimenti quello rischiava di strappargli la dentiera dalla bocca. Ma quando lui le chiese  di salire in macchina per andare fuori a fare un giretto, lei, senza esitazione, aveva accettato.  La macchina del biondino si fermò improvvisamente, presso una stradina fra il Barco e Rifredo e, di scatto, il biondino tentò di violentare la Giorgia, che urlava e si dibatteva e tentava con ogni mezzo di liberarsi dalle grinfie dell’uomo. Giorgia cominciò a urlare forte, ma in quel punto nessuno poteva sentirla. Tentò di uscire di macchina e ci riuscì, si mise a correre, invocando l’aiuto di qualche automobilista, ma nessuno passò. Il biondino la raggiunse in fretta, la sbatté violentemente contro il ciglio della strada e lì la violentò. Non contento di averla violentata, e per la paura che andasse a raccontare, estrasse il suo coltello e la pugnalò. Il coltello trapassò il petto, ma la protesi al silicone, fortunatamente, riuscì ad attutire il colpo. Fu proprio quella protesi al silicone che la nostra Giorgia si era fatta fare mesi addietro a salvarle la vita. Da quella esperienza Giorgia era cambiata. Era rimasta sostanzialmente la stessa donna di prima, ma con una piccola differenza: il sabato sera, quando andava a ballare a Casanova, accanto a lei, nella sua Pandina, prendeva posto il marito, e con lui, e solamente con lui, ballava tutta la sera.

Paolo Campidori
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