IL CASTELLO DI TIRLI ALLA FAGGIOLA

Il ripiano a forma di piramide tronca in cima a questa collina (Vedi foto) è probabilmente il luogo ove sorgeva il Castello di Tirli nella Ronagna Toscana. Nelle carte geografiche moderne questa località è riportata con il nome “Il Castello” e si trova in posizione sopraelevata a Est di Casovana (un piccolo nucleo abitativo dove una volta passava la strada, che seguiva, da una buona distanza il Santerno) e che passando da San Donato al Coniale, San Giusto e San Martino a Camaiore andava a San Pietro a Tirli, Moraduccio e quindi verso la Romagna. “Il Castello di Tirli dipendeva dagli Ubaldini di Susinana, fino a che, nel 1372, i discendenti di Ottaviano di Maghinardo di Susinana non cedettero alla Repubblica fiorentina ogni pretesa sui castelli dell’Alpe e del Podere, per la cifra di 7.000 fiorni d’oro”! (Cfr. Firenzuola e il suo territorio. A cura di P.C. Tagliaferri). Nelle Rationes Decimarum del 1302-3 il Plebato di Camaggiore era così composto: 1) Plebis S. Johannis de Camaiore; 2) S. Michaellis de Monte; 3) S. Martini de Curia Tierli; 4) S. Petri de Curia Tierli, 5) S. Margherite de Tierli (Da notare la derivazione tedesca di Tirli, che si scrive Tierli e si pronuncia Tirli, infatti in tedesco il dittongo ie si pronuncia i). Nella Decima Pontificia (Rationes Decimarum) del 1276, noi ricaviamo altre informazioni: le chiese e i popoli che vi facevano parte non dipendevano, almeno sotto il profilo strettamemnte giuridico e amministrativo, da una Pieve, bensì da una Curia che equivaleva a un determinato distretto territoriale e che faceva capo a un castello. Pertanto la Curia del castello di Tirli, nel 1276 comprendeva le seguenti chiese: 1) San Martino de curia Tierli; 2) Santa Maria de castro Tierli; 3) S. Patrizio de curia Tierli (San Pietro). Questo voleva significare che, ad esempio, una chiesa, poniamo S. Pietro a Tirli, era soggetto, per quanto riguarda la parte amministrativa, giurisdizionale, fiscale, ecc, alla Curia del Castello, nel nostro caso del castello di Tirli; mentre per quanto riguarda la gerarchia ecclesiastica, la stessa chiesa faceva parte del Plebato di Camaiore o Camaggiore. Le stesse Pievi avevano anch’esse compiti amministrativi, o meglio anagrafici, come si direbbe oggi. Le stesse Pievi però avevano anch’esse facoltà impositiva verso i parrocchiani (Vedi Rationes Decimarum). Con il battesimo dei neonati, non solo si esercitava uno dei compiti più importanti, cioè quello di somministrare un sacramento, ma lo stesso nascituro veniva incluso nei registri delle nascite, proprio come avviene oggi presso le Anagrafi dei Comuni. La giurisdizione del Castello era però limitata ai confini della Curia, vale a dire, il castello aveva una giurisdizione territoriale ben delimitata all’interno del Feudo. Presso il castello risiedeva stabilmente un vicario del feudatario, un funzionario, che accentrava su di se tutte queste prerogative amministrative, giuridiche, e di comando e che era sottomesso soltanto al feudatario, spesse volte anche da vincoli di parentela. Il vicario, oltre ad essere colui che esercitava il potere in nome del feudatario, si occupava della difesa del castello, delle armi e degli armati, riscuoteva le tasse e gli innumerevoli balzelli, e, cosa più importante, esercitava in prima persona o per mezzo di giudici delegati la giustizia e comminava le pene, fra le quali anche la tortura e la pena di morte. Nei feudi più piccoli era lo stesso feudatario che assolveva questo compito. Sempre nel castello, (quasi sempre nella loggia dello stesso) venivano eseguite transazioni e ogni negozio giuridico, dalla vendita e acquisto di beni immobili e mobili, atti riguardanti eredità, donazioni, doti, ecc. e sempre alla presenza di un notaio che eseguiva i rogiti degli atti e alla presenza dei contraenti e dei testimoni. Tali atti talvolta riguardavano l’emancipazione di un servo, poiché parte della popolazione viveva in stato di servitù. Ritornando un attimo alle Rationes Decimarum del 1276 noi notiamo che la Curia del castello in oggetto comprende tre chiese, ma di queste solo una è indicata con la dicitura “de castro” ed è la chiesa di Santa Maria. Questo significa che la chiesa era proprio dentro le mura del castello, o per lo meno nelle immediate vicinanze; mentre le altre due chiese definite “de curia” sono ubicate nel territorio della curia del castello. E’ interessante motare inoltre , che nelle vicinanze si trovavano altri importanti castelli, sempre degli Ubaldini, tutti situati in posizioni strategiche. Uno di questi era il fortilizio che si trovava a Pignole e Piagnole e fu ceduto ai Firentini dopo l’uccisione di Maghinardo (Si tratta ovviamente di Maghinardo Novello nipote).  Un altro castello si trovava sulla sommità del poggio di Monti, appunto presso la chiesa di San Michele a Monte. Oggi di questo importante Castello resta la dicitura “Il Castello” a una imponente casa colonica con pietrami e pilastri molto antichi. Ciascuno di questi castelli che ho menzionato era posto su strade di vitale importanza o nelle immediate vicinanze delle stesse. Piagnole e Monti controllavano la strada sulla sinistra del Santerno (strada di crinale e mezza costa) che non corrisposndeva affatto al tracciato della strada attuale che costeggia il fiume, fino a lambirne le rive. Il castello di Tirli invece controllava la strada che seguiva la riva destra del Santerno, anche questa strada in parte di crinale in parte di mezza costa. Detti castelli inoltre erano in contatto diretto visivo fra di loro e gli stessi potevano scambiarsi, in caso di necessità, dei segnali di fumo, luminosi, ecc, ed accorrere in armi dove si presentava il bisogno. Ma non possiamo non accennare altri due castelli, sempre facenti parte dello stesso feudo. Parliamo del castello di Rapezzo in località Corte e del castello di Brento o Brentosanico, che si ergeva sul Monte Caprile e che aveva tra l’altro compiti di riscossione dei pedaggi (una specie di casello autostradale). Così andava la vita di quelle popolazioni in Alto Mugello nei feudi dei potenti Ubaldini che vantavano discendenza longobarda. Ma si sa, i Longobardi non si erano acquistati una buona fama in Italia. Nè migliore fama gli stessi godettero alla corte papale. Anzi, la corrispondenza dei Papi con la corte Franca acquistò un tono violento. In essa il popolo longobardo è detto: “PERFIDA E FETENTISSIMA GENTE CHE  MON E’ DA PORRE NEL NOVERO DELLE NAZIONI, MA DA CUI DERIVA LA RAZZA DEI LEBBROSI”. Di questo se lo ricordino la gente della Romagna Toscana, i quali sono stati per secoli asserviti a questi tiranni e se hanno conosciuto, dopo tanta tirannia, un periodo di benessere e di libertà, questo lo devono proprio ai fiorentini, popolo forte e coraggioso, che ha combattuto a fianco di queste genti ed ha portato avanti una politica altrettanto coraggiosa e che ha dato alle stesse popolazioni la forza di raddrizzare il capo e la schiena, e la dignità di sentirsi liberi, dopo che essi erano stati ridotti per secoli a servi della gleba. Un monito mi sembra doveroso a tutti coloro i quali adesso prendono le distanze da Firenze e dalla Toscana,  i quali con referendum popolari o altro, vorrebbero  con un gesto davvero infelice sancire il distacco dalla Toscana per unirsi all’Emilia Romagna.

Paolo Campidori
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