Storia dei Martiri cristiani di Vallicula (Valcava)
Questa frase che di quando in quando mi martella il cervello, mi fa tornare in mente i giochi infantili che quotidianamente insieme agli altri ragazzi facevamo, il più delle volte, all’approssimarsi della sera, quando già avevamo fatto i compiti di scuola e nell’attesa di un buon piatto di minestra fumante, che nostra madre affaccendata ai fornelli ci faceva trovare. Se non ricordo male, questa frase “Ucci, ucci, sento odor di cristianucci” veniva fuori quando facevamo il gioco del nascondino e colui che “sentiva”, vuoi per intuito, vuoi perché il “nascosto” aveva mosso una frasca, oppure aveva fatto rotolare con i piedi un po’ la terra, pronunciava questa frase, come per dire “Attento ti ho scovato, so che sei lì dietro l’albero, o dietro la siepe”. Non so l’origine esatta di questa frase che veniva pronunciata con tanta ingenuità dai miei compagni di giochi, ma ho l’impressione che nell’immaginario popolare abbia un origine antica, e non sia poi tanto ingenua. Una volta essere cristiano non era come oggi. Oggi, purtroppo, la maggior parte delle persone sono cristiani all’acqua di rose, e fra questi mi ci metto anch’io, siamo come ci ha definiti qualcuno “cristiani pantofolai”. Una volta, e mi riferisco al fatto che sto per raccontare, essere cristiani non era né una moda, né un passatempo, né una cosa, come si dice oggi, che facciamo poiché l’abbiamo ereditata dai nostri genitori. Oggi ci sono fra noi moltissimi cristiani di “facciata” che si definiscono tali ma che nella realtà dei fatti sono tutto fuori che cristiani. Una volta, e mi riferisco al tempo delle persecuzioni cristiane da parte dei romani, essere cristiano, equivaleva essere un “fuorilegge”, in altre parole una persona che andava “scovato”, “braccato” come la selvaggina, e “giustiziato” nel più infamante dei modi. Ma quanto sono durate queste persecuzioni da parte dei romani? Sono durate tanto. Tre secoli e oltre! Va bene, dicono che Gesù sia stato ucciso dagli ebrei. Mi fanno ridere. E allora chi ha ucciso le migliaia e migliaia di martiri cristiani, che passavano la loro vita fra le Catacombe e il Circo Massimo in attesa di essere mangiate dalle belve? Chi ha messo i cristiani a ardere come delle torce per illuminare l’antica Roma? Sono stati gli ebrei? No, cari amici, sono stati i Romani, come romani erano coloro che hanno ucciso il Cristo. Ecco cosa voleva dire allora essere cristiano, voleva dire, essere uno che, per seguire la religione di Cristo, doveva prepararsi al sacrificio estremo. Ecco, dunque cosa voleva dire per quei primi cristiani l’Eucarestia. Significava prepararsi alla morte del corpo, ma che questa non era altro che un passaggio da una breve vita terrena, ad una promessa vita immortale. Ecco perché in alcune antiche tombe cristiane noi non troviamo la simbologia Alfa-Omega, vale a dire non un passaggio dalla vita alla morte, ma il contrario, cioè il passaggio dalla morte terrena alla Vita eterna, quella in Cristo. E, notate, quando poco sopra mi sono riferito al fatto che sto per raccontare, quel “fatto” non è stato detto a caso, si tratta di un fatto vero, non mi si venga a parlare di tradizione, leggenda o altro. Eravamo nel 250 d.C. sotto l’Imperatore Decio….e Cresci era un nobile germano convertitosi alla religione cristiana, e per questo fu messo in prigione in un buio carcere della città di Firenze. Una notte in questo tetro carcere rifulse una luce immensa e Cresci si trovò liberato dalle catene. Onnione, che era il suo carceriere, si convertì vedendo le cose che erano accadute in quella prigione. Quindi Cresci insieme ad Onnione lasciarono la città di Firenze e giunti sulla strada militare che da Firenze conduceva a Faenza, in luogo detto il Colle (Collis) presso Valcava, chiesero asilo ad una vedova pagana di nome Panfila o Panphilia, alla quale Cresci sanò il figlio di nome Serapione, e li battezzò entrambi. A quest’ultimo fu dato il nome di Cerbone. Ma i soldati romani si misero subito sulle loro tracce e li raggiunsero in un posto in cui essi attendevano vigilanti pregando Dio. I soldati li presero, li legarono e li portarono in catene al “fanum” (tempio) più vicino dove erano diverse immagini di idoli. Li fecero entrare nel tempio volendoli costringere a sacrificare per gli Dei. Con Cresci c’erano anche due suoi discepoli, Onnione, il carceriere, ed Enzio. Onnione dopo essere stato spogliato e flagellato morì invocando il Signore. La stessa sorte toccò a Enzio. A Cresci, invece, uno dei soldati lo percosse e con la spada gli recise la resta, aspergendo sul pavimento il sangue del Martire. Questo fatto avvenne il 24 ottobre del 250. I soldati “innastarono” il capo di San Cresci per portarlo all’Imperatore Decio. Ma il loro cavallo si fermò, prodigiosamente, in un luogo detto Vallicula (odierna Valcava) ed essi dovettero abbandonare sul terreno il capo grondante di sangue. Allora Cerbone e gli altri cristiani racolsero i corpi dei santi martiri caduti al Colle e li trasportarono dove i soldati avevano lasciato cadere il capo di Cresci. Avvolsero questi in preziosi lini e con preghiere li seppellirono in quel posto. Su queste tombe altri fedeli si recarono a pregare. Ma il 4 maggio 251 mentre Cerbone e i compagni stavano pregando sopraggiunsero dei soldati romani che fecero scavare una fossa lì vicino e li seppellirono vivi. Molti accorsero a venerare i martiri della Valcava e questo nuovo martirio fu il seme della nuova religione in Mugello. Così al tempio pagano dedicato a Esculapio o a Hygia fu sostituito forse già dal sec. III un “Sacellum cristiano” per custodire le tombe dei martiri, nel luogo dove poi sarebbe sorta la chiesa. Questo è il fatto e questa che segue è la conferma del fatto. Eravamo nel 1613, nei giorni 4 e 5 luglio, e in una ricognizione delle reliquie del Santo operata dall’Arcivescovo Alessandro Marzi-Medici fu accertata la perfetta concordanza con ciò che gli Atti di San Cresci (Conservati nei manoscritti dell’Opera del Duomo di Firenze) concordarono con i rinvenimenti e cioè: dietro l’altar maggiore, in un’arca di pietra serena, furono rinvenuti filamenti d’oro, un castone di rame dorato con pietra azzurra, monete romane e i resti umani di San Cresci, dei quali una testa staccata dal busto, che recava visibilmente il foro dell’asta, con cui era stata trafitta. Sotto l’antica gradinata dell’altar maggiore vi erano i corpi distesi dei due Santi Enzio ed Onnione. L’Arcivescovo Marzi-Medici fece deporre le reliquie in una “capsa lignea” munita di lamina plumbea. Presso l’antico fonte battesimale si rinvennero otto teschi che appartenevano ai Santi Cerbone e Panfila e altri cristiani sepolti vivi nel maggio 251. Concluderei con un passo della lettera di San Cipriano a Donato nell’anno 246, quasi contemporanea ai fatti della Valcava: “Quando l’omicidio è commesso dai singoli è considerato un crimine, ma diventa una virtù quando lo si compie socialmente. Non certo l’innocenza, ma l’eccesso di crudeltà dà impunità ai delitti”.
Paolo Campidori
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