Anticamente due erano le strade di crinale che raggiungevano il Mugello lungo la Valle della Carza. Una di queste, provenendo da Pescina, San Giusto a Scarabone raggiungeva Spugnole e quindi il Trebbio per poi scendere e attraversare la Sieve. L’altra, anch’essa di crinale, proveniente da Fiesole, toccando la chiesa di Macioli, San Piero Calicarza, lambiva Montesenario, Buosollazzo per poi scendere giù a San Michele a Livizzano (oggi detta a Lezzano) e attraversare la Sieve, per poi continuare verso Senni, Luco, San Simone alla Rocca sull’Alpe (l’Appennino era chiamato così). Altre due strade, se non proprio di fondo valle, potremmo chiamarle di mezza costa, fiancheggiavano il torrente Carza, una corrisponderebbe grosso modo alla statale attuale, l’altra, dalla parte opposta della Carza, toccava le località: Bivigliano, San Niccolò a Ferraglia, Signano, Cornetole, attraversava la Sieve presso Petrona e toccando Fagna, saliva l’Alpe attraverso lo Spedaletto, divenuto poi Osteria Bruciata. La Pieve di Vaglia, almeno millenaria, confermata anche dai documenti, e qui sta il rebus, non era posta su nessuna di queste quattro strade, già etrusche e poi romane e infine medievali. Sveliamo il segreto, la Pieve di Vaglia si trovava sul troncone di strada, una strada traversa che da Pescina, toccando la Pieve di San Pietro a Vaglia, Signano, univa le due strade di crinale, antichissime, che portavano in Mugello. Questa traversa, era pure una strada etrusca, lo confermerebbe l’ertimologia dei luoghi che questa strada toccava: Pescina, Vaglia, derivante da Ualea, o qualcosa di simile che corrisponde a un nome di donna estrusca, Mensola, infine, che deriva dall’etrusco Mesula. Una zona, quindi questa di Vaglia, a forte concentrazione etrusca. Non si sa bene, quando la chiesa di Vaglia sia stata costruita esattamente. Tutta questa zona, già prima del Mille, era un feudo del Vescovo Fiorentino, e ciò lo confermerebbe anche il Castellare, antico Castello vescovile, che era localizzato, come dice il Brocchi, a “cavaliere della Pieve di Vaglia”, che ha una posizione di mezzacosta, rispetto al paese che sta in basso, proprio sul torrente. Altra rocca, ultimo baluardo di un castello, era quella di Pietramensola, antica chissà quanto, forse già luogo fortificato etrusco. Altra torre di avvistamento, tutt’ora esistente, la troviamo a Torre detta dei Nocenti, sulla strada che proveniva da Pescina, ma altri castelli erano nelle cicinanze: a Cerreto Maggio, a Corte Chiarese, Villa Pozzolini, a Scarabone, dove passava appunto la strada di crinale, altra rocca, poi castellare esisteva a Ferraglia, nome anche questo di origine etrusca poi romanizzato, Festalla o Festalia. La Pieve di Vaglia doveva quindi essere ben più antica di quel documento che sul finire del sec. X la menziona “sancti petri in Valea”, documento nel quale il Vescovo fiorentino Sichelmo, feudatario, donava una “Curtem de Lacu” al Capitolo Fiorentino. Ce lo dimostra anche la testiminianza, riportata anche dal Brocchi e dal Niccolai, secondo la quale la Pieve aveva una pietra di alberese, un lastrone, che serviva anticamente ad uso battesimale. La chiesa, quindi, doveva avere in origine anche una cripta, e penso, ma è una mia supposizione, che dovesse essere molto simile alla Pieve di Legri, nella Val di Marina, alla quale era collegata per mezzo di una strada antichissima. La chiesa come è oggi, con ampia navata centrale con soffitto a capriate lignee, affiancata da due navatelle laterali (una di queste non c’è più, resta solo quella di destra), è il frutto del lavoro di ricostruzione della chiesa avvenuto nel 1789-91, ed è disposta sull’asse nord-sud, con la facciata che guarda verso sud. Credo che la chiesa originaria, forse più piccola dell’attuale, fosse disposta lungo l’asse W-E, con la facciata rivolta al Ovest, come lo erano tutte le antichissime chiese paleocristiane e questo corrisponderebbe anche alla sua posizione sul tracciato stradale della strada etrusca che ha appunto un andamento W-E. Un restauro, condotto in maniera scientifica, se avverrà in futuro, ci potrà permettere di ritrovare l’antico perimetro delle mura della chiesa che doveva avere una o tre absidi, e si dovrebbe ritrovare la cripta, probabilmente sotto uno strato di terra. Ci auguriamo che questo avvenga quanto prima, non per riportare la chiesa alle forme originarie, questo sarebbe impossibile, ma per documentare le trasformazioni della chiesa avvenute nei secoli. Fra la metà del secolo XIII e il sec. XVI la Pieve di Vaglia aveva raggiunto la massima importanza e aveva esteso la competenza e il suo territorio fino a Legri in Val di Marina, Pezzatole, Carlone, e un podestà vescovile fu probabilmente il giusdicente di questa terra. E’ all’incirca di questo periodo, la tavola di altare dipinta all’inizio del Trecento, che raffigurava San Pietro con intorno la sua storia in sei quadretti, donata alla chiesa dal Vescovo Francesco Silvestri da Cingoli. Di questa tavola, non se ne sa più niente, come del resto non se ne sa più niente di altre importantissime tavole che si trovavano in chiese vicine, tanto per fare un esempio a Spugnole. Durante il periodo passato alla Soprintendenza, pur avendo fatto ricerche, non sono riuscito a trovare notizie né di questa tavola, né di quella che si trovava nella chiesa di Spugnole, né di altre. Del periodo Rinascimentale resta nella Pieve un bel Fonte Battesimale, robbiano, di pianta quadrata con angoli lobati. Una parte della decorazione è andata distrutta, tuttavia restano due festoni di frutta laterali, con alcuni frammenti, e un bellissimo angelo robbiano. Questo Fonte meriterebbe un restauro. Verso la seconda metà del 1600, originario della Pieve, si distingue un pittore Angiolo Nardi da Razzo che ha operato per quasi la totalità della sua carriera in Spagna. Essendo questi molto legato alla Pieve e alla Compagnia della Madonna della Neve, annessa alla chiesa (che aveva compiti, oggi si direbbe di “volontariato” sociale, ma non solo), inviò dalla Spagna un enorme forziere, con un reliquario in ebano, un ostensorio e un turibolo in argento massiccio. Al 1791 risale la ricostruzione della chiesa, una grande aula, con arco trionfale, due navatelle laterali e soffitto a capriate. Le decorazioni vengono eseguite in stucco, in stile barocco, con dei preziosissimi colori tenui. Verso la metà del 1800, esattamente del 1863 al 1866, viene chiamato a coadiuvare il Pievano Ulivi un personaggio molto conosciuto ai mugellani. Si tratta di Padre Lino Chini autore della Storia Antica e Moderna del Mugello, edita qualche anno più tardi, nel 1875. Con la collaborazione del Pievano Don Mario Martinuzzi, ho potuto rintracciare, documenti, stati d’anime, ecc. di quel periodo, con la scrittura autografa del nostro Don Chini, che nella prefazione della sua opera esordisce così: “L’amore che io porto sincero e inalterabile al Mugello, mia provincia natale....”. Sembra, almeno da una indiscrezione raccolta da Don Martinuzzi, che Don Lino Chini, borghigiano, non si trovasse a suo agio in questa pieve, anzi, sembra, che una volta recatosi presso una famiglia, fosse stato bastonato ben bene, forse, anche a causa delle sue idee politiche allora un po’ contrastate dalla popolazione locale. Oggi, la Pieve di Vaglia, funge anche un po’ da deposito delle opere d’arte delle chiese vicine abbandonate o in via di “estinzione”. Importantissime sono due campane una del 1221, datata e firmata, proveniente dalla chiesa di Pescina, l’altra del 1233: due oggetti storici inestimabili; un dipinto raffigurante la Madonna col Bambino, proveniente dall’antica chiesa della Famiglia Cerretani, a Cerreto Maggio, ecc. Altra opera notevole, questa della Pieve, è una Croce Processionale, dipinta dal Pugliani. Ma molte altre sono le opere d’arte presenti in questa chiesa, una vera e propria raccolta d’arte, che Don Martinuzzi conserva con cura e con amore. Meritevole di restauro sarebbero i libri, gli stati d’anime, gli antifonari, che soffrono non poco dell’umidità degli ambienti e che rischiano, se no n si interviene in tempo, l’estinzione. Un invito quindi a tutti per scoprire i tesori la storia e le bellezze ambientali che circondano la Pieve di San Pietro a Vaglia.
Paolo Campidori
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