VICCHIO: IL PERCHE’ DI UN MUSEO

Un ricordo dell’amico Prof. Renzo Chiarelli, “vicchiese honoris causa” e non solo.

Ottobre 1964: si inaugura il Museo di Vicchio. Questa è una data importante e lo vedremo perché. 17 giugno 1967: a Firenze in Palazzo Vecchio si tiene il discorso celebrativo su “Giotto nel VII centenario della nascita. Ma lasciamo un attimo i numeri e le date per parlare di uno dei “protagonisti” che ha contribuito in maniera “determinante” alla nascita del Museo. Parlo del Dr. Renzo Chiarelli, funzionario della Soprintendenza Beni storici Artistici (allora detta Soprintendenza alle Gallerie), negli anni ’60 e ’70, anni del cosidetto “boom” economico italiano. Ebbi occasione di conoscere questo simpatico personaggio, verso la fine degli anni ’60, quando io, allora dipendente della Soprintendenza, in Via della Ninna, fui temporaneamente mandato (o comandato come si diceva allora) a sostituire un collega bibliotecario, da tempo assente per ragioni di salute. Ricordo che il Dr. Chiarelli aveva il suo ufficio “personale” proprio nella Biblioteca degli Uffizi (specializzatissima in pittura, scultura e arti minori) della quale egli era il Direttore. Ma questo non era il solo incarico che aveva nell’ambito della Soprintendenza (Il personale era poco, i funzionari ancora meno). Era direttore dei Musei di San Marco e dell’Accademia e, credo, avesse l’incarico “territoriale” del Mugello. Io ricordo il Dr. Chiarelli, una persona squisita, molto gentile, un po’ grassoccio e quasi calvo. Lo ricordo nei mesi della calura estiva, quando arrivava all’Ufficio dopo aver fatto tappa ai due musei, un po’ trafelato, pieno di sudore, ma sempre con il sorriso sulla bocca e con l’aria bonaria di sempre, tipica delle persone “cicciottelle”. Si accomodava alla sua scrivania, accendeva uno dei vecchi ventilatori, inventariato alla base col numero stampato in rosso, dall’Economato della Soprintendenza, e, cominciava a parlare affabilmente con tutti. Era un tipo molto alla mano; amava molto la musica classica. Mi diceva spesso: “in casa mia siamo tutti musicofili e musicomani”. Usava un linguaggio un po’ ricercato, questo è vero, e quando parlava la sua “e” era stretta stretta poiché proveniva dal Nord Italia, precisamente da Verona. Però aveva legami strettissimi con il “suo” Mugello, che amava molto. Di questo legame con  il Mugello e in modo particolare con Vicchio ne parla in una sua Presentazione al libro di Pierluigi Cantini: Origini del Castello di Vicchio: “Scrivere per Vicchio, si tratti pure d’una semplice prefazione a un libro, per uno come me legato a Vicchio da vincoli di sangue, non solo, ma da remotissimi ineffabili ricordi d’infanzia e d’adolescenza, da insostituibili affetti e da amicizie antiche....è motivo di gioia e di commozione”. Se non ricordo male mi sembra che la madre fosse vicchiese. Nei suoi argomenti , tornavano spesso due temi a lui cari: Verona e Vicchio. La prima era la sua città di “adozione”, con la quale manteneva rapporti scrivendo sul suo giornale: L’Arena di Verona. Era molto “geloso” di questi giornali, e periodicamente dava ordine al Bibliotecario capo di farli rilegare. Spesso e volentieri, quando scriveva, li andava a consultare. Il secondo era Vicchio. Quando parlava di questo paese i suoi occhi si illuminavano. Vicchio, era per lui, la sua seconda patria, ma potremmo ben dire, la sua seconda casa e i vicchiesi erano, per lui, tutti suoi amici. Mi parlava di Tizio e di Caio, di Siro, di Lido, il ristoratore e albergatore del paese. Una volta andammo a pranzo da Lido: io, il Dr. Chiarelli, la sua segretaria (siamo agli inizi degli anni ’70) Signora Olga,  e, se non ricordo male, un fotografo della Soprintendenza. Ricordo allora i suoi discorsi (parlava quasi sempre lui) quasi tutti incentrati sulla sua infanzia passata qui a Vicchio, delle persone care; ma soprattutto gli stava a cuore questo paese, Vicchio, con Giotto e il Beato Angelico: due suoi illustri compaesani del passato e dei quali andava molto fiero. Ma altre cose gli stavano a cuore: quella di un nascente museo da lui voluto con caparbietà, e alla realizzazione del quale avevano concorso la Pro-Loco e il Comune; e quella delle opere d’arte, notevoli per importanza, che, dato l’abbandono delle campagne e delle chiese, erano soggette a saccheggi di ogni tipo. Sentiamo cosa dice il Chiarelli in proposito in un suo articolo del 1967: “Non è da oggi, che in Toscana si va attuando a cura di enti e di Comuni, quando non addirittura da parte delle Soprintendenze alle Gallerie, la politica, per così dire, della “proliferazione” di piccoli musei, destinati soprattutto ad accogliere oggetti di interesse artistico esistenti in centri minori o nelle campagne.....Da questa funzione di salvataggio, o di ricupero, è legittimata l’esistenza di tali piccoli musei, ancorché più che da campanilistiche ambizioni o da necessità turistiche.....Si tratta per ora, e in vista di prossimi e sicuri ampliamenti di un “embrione” di museo: una sola stanza al piano terreno del Palazzo Comunale”.  Ma, ci domandiamo, da dove nacque esattamente l’idea del Museo? Ancora Chiarelli ci fa luce in merito: “in quella stanza (ex esattoria del Comune) era visibile, da sempre, un affresco, l’unico elemento superstite, assai probabilmente, della Cappella d’un distrutto Palazzo del Podestà. Fu proprio da qui che nacque l’idea del Museo, da quell’affresco rimasto tenacemente, malgrado tutto, sul vecchio muro”. Ma vediamo nel lontano 1967, quali opere ospitava il “museino”, come lo definiva Chiarelli. Un’intera parete era dedicata agli stemmi in pietra dei vari Podestà succedutisi dal XV al XVIII secolo. L’affresco, di cui si è parlato, raffigurante la Vergine in Trono, con i Santi dei quattro Pivieri vicchiesi, databile al XIV-XV secolo, di incerta attribuzione. Un affresco staccato da Rupecanina, con una deliziosa Madonna con  il Bambino e Angeli, di maniera Biccesca. Un busto del Battista, di Andrea della Robbia, due scene mitologiche, su embrice, di ignoto quattrocentesco, provenienti dalla distrutta Cappella di Montesassi. Un’acquasantiera monolitica, proveniente dalla “abbandonata” chiesa del Rossoio. Chiarelli conclude: “il museo di Vicchio sarà ampliato e completato....non manca volontà di far ciò, né mancano in terra vicchiese, sparse qua e là, le opere d’arte da collocare nelle nuove sale....Sarà un museo da vedere....”. Il resto è storia dei nostri giorni.

Paolo Campidori
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